Dopo il primo Nightmare Detective, Tsukamoto rimane sulla stessa linea concettuale per il sequel, senza per forza rimanere legato al tema del primo film. Mentre nel primo si trattava di una storia classica mistery che celava un sottotesto fortissimo e cinico sul contetto di suicidio, in questo caso il detective che vede nei sogni della gente si trova ad avere a che fare direttamente con il concetto di paura. La maniera con cui lo fa è beffarda, quasi volesse comunicare con il pubblico o con i produttori o in generale con il cinema e le sue forzature di genere. Affascinante la maledizione che rincorre un personaggio il quale è vessato da una strana panfobia. Infatti ha paura di qualsiasi cosa. Una situazione grottesca che Tsukamoto usa per mostrare come qualsiasi situazione ed immagine possa essere artificialmente resa spaventosa. In questo modo Tsukamoto fa un viaggio a ritroso nella psiche andando a rintracciare nell'infanzia del protagonista, in questo caso campione del pubblico, i segreti del senso della paura. In questo modo Tsukamoto crea l'horror per antonomasia, agghiacciante e universale ma anche riflessione metacinematografica di se stesso. Ormai Tsukamoto non ha limiti.
di Gianluigi Perrone
Wednesday, May 28, 2008
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