Sunday, January 27, 2008

IL PETROLIERE (THERE WILL BE BLOOD) di Paul Thomas Anderson (2008)

Attenzione perchè stiamo per parlare di uno di quei film che genereranno più risse verbali in assoluto tra i cinefili. D'altronde Paul Thomas Anderson stesso è stato dibattutto moltissimo come genio assoluto o autore sopravvalutato. Ed è lecito chiederselo visto che PTA è sicuramente un regista incredibilmente dotato ma ha anche una visione classica ma talmente personale da sembrare incomprensibile. Chi scrive ha adorato i primi tre film ed apprezzato Punch DrunkLove, quindi questo nuovo There Will Be Blood (titolo suggestivo che indica il lavoro del petroliere in slang) era in attesa al varco. Ci si trova veramente spiazzati dopo la visione di quasi tre ore di un'opera che essenzialmente si poggia su una trama esilissima. Il libro di Upton Sinclair tratta della vita di Daniel Plainview che fu uno dei creatori del businness del petrolio alla fine dell'800 negli stati uniti e delle conseguenze che ne susseguono anche oggi. Innanzitutto, per fortuna, anche se si tratta di petrolio non vi è alcun riferimento politico,se non implicito, anche se c'è chi lo troverà per forza. La trama tratta della incredibile avidità dell'uomo che arriva a perdere tutti i propri valori, compresa la sanità mentale. Si analizzano soprattutto le conseguenze di questo evento con il rapporto con il figlio H.W., un tema particolarmente caro a PTA. TWBB è una pellicola che sembra poter essere spezzettata nei suoi elementi per analizzarli singolarmente. Su tutte, la cosa che ha alimentato l'hype per il film è la performance di Daniel Day Lewis che, da protagonista assoluto, mozza il fiato. Il discorso è che spesso e probabilmente su richiesta di Anderson (ricordando i precedenti film), Lewis pezza di over-acting, arrivando ad atteggiamenti surreali. Si è parlato di similitudini con Quarto Potere e probabilmente il personaggio di Plainview deve molto al Kane di Welles, ma molto spesso dalla regia di PTA traspare un'ottica kubrickiana e non è banale ammetterlo. Alcune inquadrature, soprattutto in interni, sono inequivocabilmente prese dalle opere più famose di Kubrick e i carrelli sono meno preponderanti rispetto al passato. Come sempre, un ruolo preponderante lo hanno le musiche, anche se stavolta sono originali ad opera di Jonny Greenwood dei Radiohead. A volte addirittura invasive, ricreano però degli ottimi momenti, in particolare in una scena topica durante una esplosione che in qualche modo sarà il motivo di rovina per il protagonista. Il ruolo della religione nel film è ancora incomprensibile ed oscuro. Il rapporto di Plainview con il reverendo Sunday, Paul Dano (che interpreta due ruoli), ha un che di incompleto ed assurdo, superstizioso e a tratti blasfemo. Il film a volte raggiunge una profonda oscurità, atmosfere che non è errato definire horror per quanto stridono nella mente, eppure il tutto è mitigato da eventi a volte in contrasto tra di loro. Senza farne mistero, Anderson riprende il West alla Sergio Leone, ma ne osserva i retroscena inediti ed una crudezza che di sicuro nessuno aveva raccontato da questo punto di vista. Spiazzante.

di Gianluigi Perrone

Friday, January 25, 2008

RUBARE ALLA MAFIA E' UN SUICIDIO (ACROSS 110TH STREET) di Berry Shear (1972)

Il titolo italiano di Across 110th Street riassume fedelmente il plot. Tre rapinatori (Paul Benjamin, Antonio Fargas e Joseph Attles)compiono una strage ai danni della Mafia italiana, rapinandogli 300.000 dollari. La Mafia se la lega al dito e nella persona del boss Nick Di Salvio(Antony Franciosa) si mettono alla ricerca dei tre per le strade di Harlem, per recuperare il malloppo e fargliela pagare caramente. Dietro il caso anche
la legge, che cerca di sventare il massacro prima che esploda, attraverso i metodi spicci del veterano Capitano Mattelli (Anthony Quinn)e del coscienzioso Tentente Pope
(Yaphet Kotto). Uno dei migliori titolo della scena blaxploitation ma anche in assoluto quello tecnicamente confezionato meglio. Un noir puro con la regia di Berry Shear che pare consumarsi per quest'unico suo successo in maniera intensa e personale. Campi stretti e movimenti di camera maestosi rendono questa strada di degrado e violenza una lotta epica tra le strade di Harlem. Complice anche una sceneggiatura solida ed importante che analizza tutti i personaggi con il bisturi. Con il senno di poi ci si rende conto che i personaggi bianchi, cioè lo spietato DiSalvio/Franciosa ed un grande Anthony Quinn come il tipico poliziotto dai metodi duri ma destinato a morire come tutti i vecchi elefanti, hanno in sè la negatività delle cattive tradizione in confronto ad un mondo che sta dando il passo al nuovo. C'è il desiderio di raccontare la miseria dell'uomo nero su come vengono delineate le vite dei rapinatori. Attles è un umile lavandaio che anche i poliziotti maltrattano; Fargas è sostanzialmente un povero farabutto alla ricerca di riscatto e di quella bella vita che è preclusa ad un nero (fantastica la scena del festino/orgia ad Harlem con conseguente cruentissimo massacro ai danni dell'attore che diventerà noto come l'Huggy Beat di Stursky & Hutch); Benjamin è un uomo povero, malato e senza speranza a causa della fedina penale sporca che non ha più nulla da perdere se non l'amore per la propria donna. Questa dimensione affettiva profonda fa di Across 110th Street un lavoro esemplare. Nonostante l'azione e la violenza esplodano in maniera precisa ed incommensurabile per tutto il film ,vi sono dei momenti umani significativi e commoventi, come la scena in cui i due poliziotti devono rivelare alla moglie di Fargas la sua dipartita. La miseria umana è tangibile ed esplode nella violenza come una reazione disperata e nichilista, fino ad un finale dopotutto amaro la cui unica via di uscita è una richiesta esplicita di cambiamento: il denaro sporco torna a chi in fondo ne è stato privato. Il popolo. Doveroso citare la colonna sonora di Bobby Womack, ormai leggendaria.

di Gianluigi Perrone



Saturday, January 19, 2008

Batman contro Dracula (2006)



Eccoci davanti ad una pellicola spettacolare e per certi versi memorabile nell’universo del Cavaliere Oscuro.
“Batman contro Dracula” ad occhio disattento e poco analitico è operazione bassa, fin troppo cool nel suo aspetto manga, disonesto nel ritrarre situazioni e personaggi del bat-universo.
Ma “Batman contro Dracula” è in realtà opera scatenata, selvaggia, che non si rivolge ad un pubblico bambino, ma guarda soprattutto agli adulti, con colpi di scena shock che lasciano basiti (vedere l’attacco della bambina vampiro) e una gustosa introspezione del personaggio di Batman, mai come qui ritratto in maniera così umana.
Si possono trovare influenze, soprattutto nel sogno premonitore di Bruce Wayne, della stupenda miniserie di Doug Moench e Kelley Jones ,“ Pioggia di sangue”, che aveva come protagonista un Batman vampiro antropomorfo e selvaggiamente disumano.
“Batman contro Dracula” si spinge nel suo percorso creativo a ridisegnare, in maniera ancor più gotica, non soltanto Gotham City, ma anche personaggi già ben delineati fin dagli albori del personaggio.
Tra tutti salta sicuramente all’occhio la mutazione del Joker da clown ben vestito a selvaggio giullare da corte medioevale.
Interessante poi come gli autori creino il personaggio di Dracula in perfetta antitesi con quello del Batman.
Abbiamo quindi un pipistrello uomo che, agendo nello stesso habitat del nostro uomo pipistrello, segue regole simili in maniera completamente stravolta.
Elementi che rendono il Dracula di questa pellicola la vera nemesi di Batman, quello che Goya chiamava “il sonno della ragione”, cosa succederebbe se Batman fosse solo oscurità?
Impreziosiscono il film citazioni di classici letterari (Sheridan Le Fanu e la sua fanciulla vampira “Carmilla”), ma anche cinematografici (l’arrivo di Dracula a casa Wayne è omaggio neanche tanto palese alle produzioni horror inglesi della Hammer).
Da notare come nell’originale la voce del conte vampiro è data da un attore abbonato a ruoli di villain (“Costantine”, “8mm”, Bad Boys 2, “Bruiser”) come Peter Stormare.
Una nota: il film è appendice della nuova serie a cartoni “The Batman” e non della classica e più famosa “Batman the animated series”, ed è insieme a “La maschera del fantasma” il miglior film di animazione dedicato al Cavaliere Oscuro.


di Andrea Lanza

Wednesday, January 16, 2008

Return to House On Haunted Hill (2007) di Victor Garcia



La Dark Castle ha generato prodotti altalenanti: da ottime pellicole come “La maschera di cera” di Collet-Serra o “13 fantasmi” di Steve Beck, ad altri davvero pessimi come “Ghost ship”. Questo “Return to House On Haunted Hill”, seguito dell’horror di William Malone, già remake di un classico in bianco e nero con Vincent Price, fa parte dei prodotti medi, quelli che non lasciano molto segno di sé pur con trovate non malvagie. La storia semplice semplice è quella di una caccia al tesoro (in questo caso un idoletto malvagio dal valore inestimabile) nella famosa casa pullulante fantasmi da parte di un gruppo eterogeneo di malcapitati. Lo splatter non manca fin dai primi minuti con un cuore strappato a forza da un torace, gli effetti speciali sono molto belli, alcune trovate visivamente notevoli (le due fantasma lesbo o gli spiriti in piscina) e il film diverte alla fine. Cosa manca allora? Sicuramente una regia che sappia rendere meno monotona una vicenda che già alla seconda uscita puzza di marcio e uno sceneggiatore che possa bissare i colpi di scena dell’opera precedente. Così com’è “Return to House On Haunted Hill” è una gioia per gli occhi, ma non per il cervello, ben presto il gioco rischia un po’ di annoiare: tanto ogni spettatore in cuor suo sa che i fantasmi uccideranno in maniera truce solo i cattivoni mentre i buoni, come studenti svogliati, verranno salvati dalla classica campanella. Purtroppo a nulla vale né una recitazione a tratti ottima del cast né la presenza di mostri sacri dell’horror, come il mitico Jeffrey Combs, l’Helbert West di “Re-animator”, qui visibilmente spaurito in una vicenda che non valorizza il suo carisma. Se avrete poi il coraggio di aspettare la fine dei titoli di testa vedrete poi uno dei sottofinali più stupidi e gratuiti del nuovo millennio. Certo c’è di peggio e per questo non bocciamo questo film, ma è lecito aspettarsi di più dal sequel di un’opera che tanto clamore ha generato nel cuore dei fans del cinema horror. Però aspettiamo il regista Victor Garcia, già noto effettista speciale, al varco con la sua miniserie basata sulla grafic novel “30 days of night”. Avrà fatto di meglio del già ottimo film di David Slade? Diamogli il beneficio del dubbio.

di Andrea Lanza

Friday, January 04, 2008

In the name of the king (Dungeon siege) (2007) di Uwe Boll



E finalmente ci siamo. Dopo anni a sbavare dietro trailer uno più brutto dell’altro sembra che per vie oscure qualcosa si muova e spunta in qualche festival questo nuovo Uwe Boll. I detrattori siano calmi e in silenzio perché se di tutti gli ultimi Boll questo è il meno personale (e quando “Seed” uscirà sarà una vera e propria bomba) è anche vero che “In the name of the king” è il più curato registicamente, il più rigoroso nell’imbastire una storia epica dai tratti molto spettacolari (un applauso agli effettisti in questo caso). Boll si sposta dai suoi canonici territori della paura per abbracciare quasi completamente lo spirito avventuroso che tanto contraddistingueva i suoi lavori horror, senza dimenticare però di girare grandi momenti da cinema del terrore come l’attacco nei boschi scuri da parte di creature dall’aspetto di lucertoloni. Il cast è di prim’ordine con la presenza di attori come Ray Liotta nei panni del villain dai poteri magici e un imbalsamato Burt Reynolds in quelli del re. Il ruolo dell’eroe spetta al Bruce Willis del nuovo millennio, Jason Statham, capace di dare al ruolo del contadino, trascinato per vendetta e casualità in un intrigo più grande di lui, una dimensione di fisicità prorompente che sopperisce una recitazione non sempre brillante. Tra i co-protagonisti poi spiccano l’Hellboy Ron Perlman, le belle Claire Forlani e Leelee Sobieski, il tolkeniano John Rhys-Davies (era Gimli ne “Il signore degli anelli” di Jackson) e soprattutto la divina ex Bloodrayne Kristanna Lockann. Il film è costato 60 milioni di dollari e forse per paura di fare flop al botteghino l’uscita è stata più volte rimandata. Boll dal canto suo si vede che ci mette proprio l’anima nel girarlo: la sua regia virtuosistica ben si adatta alle panoramiche mozzafiato che il genere fantasy richiede e una certa dose di follia nei combattimenti danno anche un tocco di originalità ad una vicenda che originale proprio non si vuole. Il tocco alla Uwe Boll che tanto fa storcere il naso ai suoi molti nemici non manca neppure qui: lo scontro tra Statham e Liotta è in puro bullet time matrixiano solo che al posto del proiettili ci sono armi bianche e poteri magici. Il film è comunque molto ben fatto, soddisfacente nella sua totalità, con momenti di commozione vibrante come il combattimento finale sotto il fango e la pioggia dove eroi e cattivi periscono con il volto nella melma. Il film sicuramente non è esente da difetti, ma si respira finalmente aria di fantasy con la f maiuscola, di grande divertimento che possa catturare figli e genitori, come non succedeva davvero da tempo e come purtroppo non c’è riuscito Jackson nel suo pastrocchio guerrafondaio dalla facile noia. In attesa di potere gustare “Dungeon siege” nella sua giusta dimensione, una sala cinematografica, non mi resta che consigliarvi questo film.

di Andrea Lanza