Tuesday, February 26, 2008

JOE VALACHI - I SEGRETI DI COSA NOSTRA (The Valachi Papers) 1972

Ennesima collaborazione tra Terence Young ed ennesima pellicola di produzione italiana per Charles Bronson che qui interpreta uno dei suoi ruoli più complessi. A memoria d'uomo si ricorda Joe Valachi (leggesi Valaci, nella maniera in cui storpiavano i nomi agli oriundi negli States)come il primo pentito di Mafia che raccontò per filo e per segno le trame, i riti ed i misteri di Cosa Nostra. Joe Valachi ha il primato di essere il primo Mafia Movie che si possa definire tale, precedendo Il Padrino nell'iconografia che diventerà comune dei mafiosi italo-americani. Joe Valachi sfugge a degli attentati in prigione, dove gliel'hanno giurata, e racconta tutto alla polizia. Attraverso i flashback vediamo la sua storia criminale e in contemporanea quella di Cosa Nostra, con tutti i riti e le gerarchie. E' evidente che Scorsese abbia preso molto da questa pellicola per il suo Quei Bravi Ragazzi, e non è una sorpresa visto come Young punta l'occhio per la prima volta su regole che oggi sono divenute arci-conosciute fino alla parodia, ma che difficilmente poteva essere recepite allora senza una chiara spiegazione. Uno dei migliori di Terence Young e un inedito per alcuni caratteristi del nostro cinema come Valter Chiari e Lino Ventura.

di Gianluigi Perrone

The Hamiltons dei "The Butcher Brothers" (2007)

"...Sbagliavo e tutto quello che voi pensavate di sapere di noi è sbagliato. Viviamo nella casa accanto alla vostra, lavoriamo nei negozi in cui vai a fare acquisti, i nostri bambini giocano con i vostri bambini. Noi stiamo solo cercando di essere una famiglia normale, provando ad immaginarci dove poter trovare da mangiare sulla Terra"

Non si può dire che questo “The Hamiltons” sia un film che colpisce, soprattutto ad una visione distratta: ambienti spogli, fotografia minimale, interpreti anonimi, più dialoghi che omicidi (alla faccia di una bella locandina piena di sangue). Ma se si segue con pazienza la vicenda non annoia alla luce anche di un notevole colpo di scena e di una certa grazia soprattutto nel caratterizzare i personaggi. “The Hamiltons” avrebbe potuto essere però un ottimo film e non solo un esercizio di stile con un budget miserrimo, sarebbe bastata una cura anche minima verso una storia che sembra procedere soltanto d’inerzia e attese verso la sorpresa finale. Cosa anche accettabile in un cortometraggio, ma non in un film di 90 minuti. I registi, i The Butcher Brothers (nome d’arte di Phil Flores e Mitchell Altieri), non sono malvagi, hanno molte belle d’idee stilistiche, ma a volte sembrano perdersi nell’aria un po’ finto amatoriale della vicenda peccando di eccessivo dilettantismo. La storia vuole essere un ritratto al vetriolo della famiglia, forse un po’ sulla scia dei dogma danesi tipo Festen, ma finisce tragicamente molte volte per assomigliare soltanto ad una specie di Famiglia Addams grottesca. Gli Hamiltons sono dei mostri, assassini, spietati, incestuosi che rimorchiano sconosciuti per scannarli con naturalezza. I registi affrontano con estremo realismo la vicenda riuscendo a trattare in modo abbastanza originale anche temi risaputi e ribaltando nel finale soprannaturale la calma placida del deja vu. Siamo più dalle parti di Peter Walker (Nero criminale) e di George Romero (Martin) che di quelle di Tobe Hooper e il suo Non aprite quella porta. Ravvivono l’interesse voyeuristico un bacio lesbo e uno al sangue molto appassionato. Dire comunque che The Hamiltons sia un bel film è mentire spudoratamente, ma è un prodotto alla fine piacevole che si può guardare per poi dimenticarlo senza rimpianti.

NB
Il film fa parte dei famigerati “8 Films to Die For”. Per chi non lo sapesse nel Weekend tra il 17 ed il 19 Novembre scorsi negli USA sono stati distribuiti in poche sale 8 pellicole horror difficilmente proiettabili nei cinema per via della violenza trattata e dei temi. Oltre agli Hamiltons facevano parte della serie:
Unrest

PennyDreadful

The Gravedancers

Reincarnation

Dark Ride

The Abandoned

Zombies la vendetta degli innocenti

Snoop Dogg's Hood of Horror

The Tripper


di Andrea Lanza

Monday, February 25, 2008

L'ASSASSINO DI PIETRA (THE STONE KILLER) di Michael Winner (1972)

E' un Charles Bronson Movie alla millesima potenza quello che volle Dino De Laurentis da The Stone Killer. Era fresco e bruciava il successo di Il Giustiziere della Notte, e l'accoppiata Bronson/Michael Winner era niente altro che dinamite. Se ci mettiamo un film con una mentalità che definire oltranzista è un eufemismo, si può immaginare cosa ci si possa aspettare dalla pellicola. Il violento detective di polizia Lou Torrey si scontra con tutti i metodi possibili contro quelli che sarebbero la feccia della società: neru, hippie, omosessuali e delinquenti. La criminalità è scatenata per le strade, la mafia trama nell'ombra maTorrey è più duro di tutti gli altri. Il film è tutta regia ed azione, quella sontuosa e maschia di Winner che oggi copiano tutti quelli che vogliono fare i cool. Un old fashion brutale e ignorante che però negli anni meriterebbe di essere riscoperto perchè probabilmente uno dei più rappresentativi del periodo. Ruoli rappresentativi per Martin Balsam e Paul Koslo. Fantastica la soundtrack di Roy Budd.
Se non saltate in aria durante l'inseguimento allora siete voi di pietra!

di Gianluigi Perrone

Saturday, February 23, 2008

BUG di William Friedkin (2007)

Ci sarebbe da scomodare il caro, vecchio termine "capolavoro" per questo immotivatamente poco visto lavoro recente di William Friedkin. Bug infatti è un'opera che riporta il regista de L'Esorcista nei territori dell'horror, anche se è superficiale definire il film come tale, e lo fa in una maniera tecnicamente sublime. Scritto superbamente da Tracy Letts che ha curato anche la piece teatrale da cui prende spunto il film, Bug è veramente il piccolo gioiello di suspance che unisce elementi ottimi tra di loro, ovvero una regia solida e personale e delle prove di attori intense. Ci immergiamo nella vita disperata di Agnes, una donna la cui miseria umana ci viene disvelata man mano che continuiamo nella visione. La solitudine e la disperazione hanno reso debole il carattere e la sanità della donna, tanto che si aggrappa con tutte le forze a Peter, un uomo che diventa la sua ancora di salvezza per la vita ma anche il suo mezzo di deriva mentale. Non è il caso di dire nulla se non che il film richiede la pazienza dello spettatore prima di svelare le carte che però fanno collimare tragicamente tutti gli elementi su cui si è lavorato fino ad allora. I protagonisti Ashley Judd e Michael Shannon si producono in performance veramente notevoli e sofferte, con una maestria tale da fare da sola il peso del film. Dietro al film vi è uno studio sapiente ed accademico della paranoia e dei diversi stadi della follia, delle cause sociali ed umane che portano la gente ad abbandonare la realtà, ma anche un'analisi di come il rapporto di coppia può forzarsi ad esistere per disperazione, estraniandosi dalla realtà. Non è affatto da trascurare come, anche se nel film tutto viene estremizzato, spesso sia possibile qualsiasi compromesso per non rimanere soli. Da un certo punto riprende alcune suggestioni de L'Esorcista, con il terrore costante della malattia mentale e la perdità della lucidità, in altri punti ricorda The Hunted e i riferimenti alla Sindrome da Guerra del Golfo. Un lavoro poliedrico e compatto, allo stesso tempo. Un piccolo gioiello di equilibri cinematografici.

di Gianluigi Perrone

Thursday, February 14, 2008

LILLO E GREG THE MOVIE di Luca Rea (2008)

Esce direttamente per il mercato home-video, prodotto da Minerva Pictures Group e distribuito da 01, Lillo & Greg The Movie, serie di sketch scritta ed interpretata dagli ex-fumettisti e comici televisivi Lillo Petrolo e Claudio Gregori, quest'ultimo anche autore delle musiche insieme ad Attilio Di Giovanni. Il dvd propone una serie di estratti tipici della comicità surreale del duo con la partecipazione di diversi amici tra cui Chiara Sani, Virginia Raffaele, Elena Bouryka e la iena (professionalmente parlando) Sabrina Nobile. Per coloro i quali non conoscessero la proposta comica del duo romano, si tratta di una rappresentazione non-sense della realtà che ricorda da vicino diverse trovate del Flying Circus dei Monty Phython o la comicità demenziale del team Zucker/Abraham/Zucker inserita in un quotidiano tipicamente capitolino. The Travertino Fried Movie, in pratica. Nei numerosi episodi si passa dall'immediatezza da barzelletta demenziale di Provini alla assurda rappresentazione in chiave sessualmente disinibita di una classica situazione conviviale tra amici in Utopia, fino al totale delirio surrealista di L'Eletto. L'interpretazione di Lillo & Greg è sempre così in riga e vibrante, quasi cartoonistica, da suscitare il riso anche in situazioni che obbiettivamente appiaono immediate e leggere. E' proprio questa la spontanea insensatezza a determinare l'ilarità di tale stream of consciousness. Nel settore tecnico, la regia è affidata a Luca Rea, che i lettori di Nocturno probabilmente ricorderanno come autore della trasmissione legata negli intenti alla rivista, Stracult, ma che aveva già collaborato con Lillo & Greg nella trasmissione satirica Bla Bla Bla, insieme al collaboratore Stefano Raffaele, qui aiuto regia e fotografia. Da non perdere assolutamente gli inserti speciali, tra i più assurdi mai visti. Si parte da un presunto documentario ritrovato in stile Blair Witch Project in cui si scoprono le cattive abitudini dei due protagonisti sul set, una intervista con regista e attori che non ha nulla di serio ed una serie di commenti audio, doppiaggi e sottotitoli improbabili che vedono coinvolti due operai dell'Acea infiltrati. A differenza di molte operazioni simili, Lillo & Greg - The Movie fa ridere veramente, il che non è affatto poco.

di Gianluigi Perrone

Sunday, February 10, 2008

SUICIDE KINGS di Peter O'Fallon (1997)

Interessante piccolo gioiellino che guarda molto a Le Iene di Tarantino, questo Suicide Kings per la costruzione non lineare delle scene. Peter O' Fallon,il regista, ha una lunga esperienza televisiva ma qui è in pieno periodo cinematografico.La storia viene da un racconto di Don Stanford e racconta di un gruppo di rampolli della buona società che rapisce un boss della mafia, Carlo Bartolucci (Christopher Walken), per poter avere i soldi per pagare a loro volta un riscatto di 2 milioni di dollari che è stato chiesto per la sorella di uno di loro. Ovviamente,non avendo esperienza in rapimenti, i ragazzi si mettono nei guai e vengono a galla un bel po' di segreti. Come nel gioco del poker, che viene tirato in ballo più di una volta, il film si basa sui rapporti tra i personaggi, sugli inganni,sulla apacità di indurre la gente a dei comportamenti, a rischiare ed a evitare di rischiare. Tutto è definitivamente equilibrato e il film fa di necessità virtù, lavorando su ottimi attori, oltre a Walken ci sono anche Jeremy Sisto, Jay Mohr e Nathan Aldrich, e compensando la mancanza di azione. Un film che inspiegabilmente non è mai uscito da noi nonostante sia diventato un piccolo cult all'estero. Da recuperare perchè un'ottima sorpresa.

Saturday, February 09, 2008

WALK HARD: THE DEWEY COX STORY di Jake Kasdan (2007)

Ecco che John C. Reilly approda ufficialmente nella famiglia del Frat Pack come protagonista di questa divertentissima commedia musicale. Dopo una esaltante carriera come attore drammatico, Reilly si prende una pausa in una parodia di Walk Hard, ispirandosi alla storia di Johnny Cash,ma percorrendo tutte le fasi musicali dello scorso secolo. Quindi Dewey diviene John Lennon, Lou Reed,Jim Morrison elo stereotipo di tutti i miti del rock. Dewey vive il trauma di aver ucciso il fratello mozzandolo in due con un machete da bambino, raggiunge il successo ma prova qualsiasi tipo di droga conosciuta. Durante un flashback lungo tutta la sua vita vediamo la trasformazione di questo ingenuto ragazzino che cantava una innocua canzoncina considerata oscena dal suo villaggio, fino a ritornare ad avere la consacrazione da parte del mondo della musica. Alla fine il film è quasi commovente, nonostante delle efficacissime scene comiche, e John C. non è esattamente un talento comico, o almeno non è abituato, ma viene guidato a dovere anche grazie ad alcuni stereotipi del genere. Costruito a tavolino ma efficace e divertente.

di Gianluigi Perrone

Thursday, February 07, 2008

Killer Bash (2006) di David Decoteau

E ancora ci casco. Mi ridico “Mai più film di Decoteau” e invece eccomi sulla poltrona a guardarne uno. Questo “Killer bash” è moscio davvero come pochi, con i soliti maschioni etero a comportarsi non come gay, ma proprio come i deviati di Cruising in scene assurde ai limiti della parodia hardcore. Il film è la solita storia di possessioni diaboliche, questa volta ai danni di una secchiona bruttina, Becky, che in preda al demonio diventerà una strafiga megagalattica e ucciderà ad uno a uno chi ha fatto del male allo spirito che la guida. Naturalmente alla fine la morale sarà la solita vecchia favola dell’amore che vince sopra ogni cosa, con tanto di redenzione dello spirito cattivo e trionfo dei buoni sentimenti. Becky oltretutto è talmente desessualizzata da Decoteau da essere quasi un transessuale con tanto di vocione da vero uomo che spaventa le donne, ma tranquillizza i maschietti che deve assassinare. I ragazzi muoiono nei modi più assurdi mentre Becky sta ad un passo da loro e nessuno nota né lei né i suoi occhi di brace da Caronte. Il primo a morire è un giovane virgulto con l’hobby di toccare i pettorali agli amici in un giardino pubblico, vestito solo con boxer, intento a fare pesi sotto l’indifferenza dei compagni che non sentiranno le sue urla disumane mentre si strozzerà con un attrezzo; il secondo mentre gioca a calcio (sempre in boxer e petto nudo) farà la fine più stronza: un pallone comandato da Becky dagli occhi rossi gli farà fare una mega caduta con doppia piroletta a mò di comica anni trenta.. crash osso del collo distrutto; il terzo mentre parla con gli amici mangia un cioccolatino e muore soffocato; il quarto dopo aver versato sul corpo nudo degli amichetti dell'olio per risaltare il fisico verrà trovato impiccato con una catena comandata da Becky. Si capisce che siamo in un opera dagli umori gay quando tre ragazze vanno a fare la doccia e il regista preferisce riprendere i suoi maschietti intenti a buttarsi dell’acqua giocosamente come i colleghi di “Zoolander”. Poi scena cult: arrivano le matricole col petto nudo e i boxer di rito che vengono messi a sedere in una scena che più frocia è inimmaginale con questi maschioni che si aprono senza motivo la patta dei jeans e mimano con delle bottiglie di Jack Daniels un pompino macho con i nuovi adepti. Il film si perde troppo in queste scene da porno soft gay e allontana l’attenzione dalla fragile storia. Decoteau se ne sbatte della coerenza, della narrazione, dei suoi personaggi, lui vuole carne al vento, uomini che amino altri uomini, se potesse li metterebbe tutti giù a giocare ad incularella, ma siamo in un film che si vuole etero e allora tutti si comportano come omosessuali, ma ammiccano alle ragazze che sbavano per loro. Povero Decoteau! Ma poveri anche noi che ci massacriamo le palle masochisticamente dietro a queste sciocchezzuole civettuole da adolescenti infoiate di cazzo. Il film per rigor del vero è girato meglio del solito, con movimenti di macchina molto efficaci soprattutto nella prima parte, ma man mano che si va avanti tutto diventa tradizionale, sciatto e moscio. Questo “Killer bash” è brutto e una delle cose più monotone girate da Decoteau che almeno in “Stirpe di sangue” e similia ci regalava qualche trovata non male e un ritmo abbastanza serrato. Ma qui? Il nulla. Evitate ogni contatto con “Killer bash”: è nocivo alla salute mentale.

di Andrea Lanza

Sunday, February 03, 2008

Cemento armato (2007) di Marco Martani


Sono lontani i tempi in cui Fernando Di Leo girava noir sapientemente orchestrati sul piano della violenza, dell’intreccio, dell’azione. Ora a distanza di più di trent’anni da quel capolavoro che era “Milano calibro 9”, il cinema italiano si riaffaccia allo stesso genere senza avere né le capacità né un adeguato cast. Nelle mani di Di Leo “Cemento armato” sarebbe stato una bomba ad orologeria, qui invece abbiamo un’occasione sprecata. Non che il film sia questo gran cane come tutti ne parlano, “Cemento armato” è sicuramente interessante sotto più fronti, ma è anche operazione sbagliata a cominciare dall’idea insulsa di voler far rincontrare i due attori principali de “La notte prima degli esami” in salsa pulp. Vaporidis in primis è improponibile come delinquentello da strada, potrebbe ricordare alla lontana il Giancarlo Prete di “Il cittadino si ribella”, ma manca completamente di nerbo, di prestanza fisica, di forza recitativa. Lo stesso Giorgio Faletti, nelle vesti del boss mafioso, con la sua nocetta nasale da prete, con i suoi occhioni sbarrati che si vorrebbe feroci e invece ricordano le migliori performance di Abatantuono terruncello nei film dei Vanzina, è al di là del bene e del male, disastroso senza appello. La controparte femminile, Carolina Crescentini (già nel cast di “La notte prima degli esami oggi” sempre con Vaporidis), è anonima, fuori parte, non riesce mai a toccare corde drammatiche anche quando il suo personaggio lo richiederebbe. Questo pseudo attori dovrebbero imparare da Ninetto Davoli, che pur stando in scena una mezz’ora scarsa, regala un altro grandissimo personaggio disperato, quasi pasoliniano. Di buono restano i dialoghi tarantiniani del killer Said, l’idea di una Roma di cemento armato (bel titolo comunque), le esplosioni di violenza efferrata (l’omicidio dell’amico albanese del protagonista e l’uccisione di un sicario con un posacenere) e poche cose. La trama poteva essere sviluppata meglio con quest’ordine di farla pagare ad un delinquentello di mezza tacca che poteva ricordare “La mala ordina” di Di Leo, invece viene il dubbio che al regista dei film di genere non gliene freghi più di tanto, che si cerchi l’autorietà in un contesto popolare. Improponibile sia il finale drammaticamente cercato sia l’idea di una polizia italiana alla “Shield”. Per non parlare delle atroci musiche pop. Dov’è Stelvio Cipriani?
di Andrea Lanza

Ferryman (2007) di Chris Graham


Peccato davvero perché questo “Ferryman” aveva tutte le carte in regola per ritagliarsi un posto speciale nel cuore di tutti i fan del cinema horror: presentato tra applausi al Ravenna horror Nightmare film festival, recensioni in patria positive, foto di scena molto sanguinose. Invece purtroppo “Ferryman” è la solita minestra riscaldata ed insapore: solito mostro che come un parassita passa di corpo in corpo (idea già vecchia anni fa con il bel “Il tocco del male” di Hoblit), regia insipida, budget modesto, attori mediocri. L’idea principale del film è quella di riuscire a costruire un horror terrorizzante nell’unica location di una barca isolata nel mare, un po’ come aveva fatto “Ore 10: calma piatta” di Noyce nel thriller. Ma se la storia inizia bene, precipita rovinosamente presto nella noia più letale. Non un momento degno di nota, non una sola scena di suspence per ravvivare la tensione, “Ferryman” è quanto non dovrebbe essere un buon horror: vuoto, spento, vacuo, risaputo. Ripeto peccato perché sotto altre mani, meno rozze, questa storia di possessioni tramite un antico coltello sacrificale, poteva essere anche interessante. Ma il regista Chris Graham non riesce ad assecondare la storia, sbaglia registro più volte cadendo spesso nel grottesco parodistico quando dovrebbe essere terrorizzante, imperdonabile questo per un film del terrore. In questo guazzabuglio si salva solo per le sue grazie Amber Sainsbury, una sosia graziosa di Christina Ricci. Non male neanche a dire il vero un sottofinale tutto sommato abbastanza riuscito. Ma diamine come avrà fatto a piacere questa cosa abbastanza svilente? Senza dubbio aspettiamocelo presto nei “migliori”videonoleggi insieme a perle come “Catacombs” o “L’incubo di Johanna Mills”. Mamma mia che brutti!

di Andrea Lanza

Ring of darkness (2006) di David Decoteau

Solito Decoteau con maschioni abbronzati e muscolosi intenti a mascherare dietro il cameratismo la loro omosessualità. Horror gay per pubblico etero in una sorta di edonismo che appaga soprattutto l’occhio marpione del regista. Ma meno peggio del solito. L’intreccio assomiglia sì ai soliti “Stirpe di sangue” e compagnia brutta, ma l’idea di trasformare una boy band alla Thake That in un gruppo di zombi affamati di carne e sangue non è male. Certo gli effetti speciali sono risibili e brutti (un po’ di cerone e lattice fanno sorridere altro che spaventare) e i siparietti musicali sono davvero tremendi, eppure lo sviluppo non è noioso e si denota una certa voglia in Decoteau nel cercare una regia un po’ diversa, meno televisiva. Sono passi incerti di un bimbo maldestro e sicuramente il regista più gay del panorama horror non peccherà mai di virtuosismo o bravura, ma sono comunque tentativi da lodare. Il cast è anonimo come sempre, ma spicca la presenza luciferina della divina Adrienne Barbeau (Creepshow). Il resto è il solito siparietto di ragazzoni in boxer e petto rigorosamente oliato per far risaltare i muscoli. Il poco spazio dato all’universo femminile si risolve o in ragazzine arrapate prima e poi urlanti o in ambigue traditrici: come dire che delle donne è meglio non fidarsi se hai già degli amici. D’altronde gli pseudo Thake That fanno sesso solo in gruppo e non accettano che i membri della band possano appartarsi da solo con delle “femmine”. Una curiosità di fondo poi per tutti i lettori di fumetti italiani: l’idea della pelle staccata non ricorda il mitico numero 7 di “Dylan dog”, quel capolavoro romantico zombesco de “La zona del crepuscolo”? Vedere per credere, forse Decoteau o chi per lui scrive ha acuto in mano un albo del nostro indagatore dell’incubo. Idea non folle oltretutto visto lo smisurato interesse dell’italiana Mediafilm per questo ambiguo regista. Il film non è da buttare e nella filmografia di Decoteau ha un posto di riguardo, ma attenzione è poca cosa, da vedere e sicuramente da dimenticare.

di Andrea Lanza