Sunday, July 23, 2006

AMERICAN SPLENDOR

Harvey Pekar,misconosciuto in Italia,è uno dei maggior irappresentanti del fumetto indipendente americano.Impiegato per 35 anni in un'ospedale di Cleveland,burberò e cinico,estremamente disincantato e pessimista,iniziò a lavorare nei comics dopo aver conosciuto Robert Crumb,una delle matite storiche del fumetto made in USA,con cui condivideva la passione per il jazz.La fama cominciò ad arrivare,per Pekar,quando Crumbs accettò di mettere in disegni le storie scritte da Pekar che si basavano in tutto e per tutto sugli avvenimenti della propria via.Non che la vita di Harvey avesse alcunchè di emozionante,anzi era proprio il commentare in maniera schietta e minimale fatti insulti la novità rivoluzionaria di American Splendor,il fumetto in questione.Shari Springer Berman e Robert Pulcini,lungi dal voler produrre un biopic
tradizionale,raccontano la vita minimale di Harvey come un semidocumentario dalla struttura a fumetti.Diversi spezzoni in cui compare lo stesso Pekar che fa da voce narrante per le parti di fiction che catturano perfettamente l'atmosfera cinica del
fumetto.Nonostante la poca somiglianza fisica,Paul Giamatti si trasforma letteralmente in Harvey modulando la caratteristica voce roca,il costante musone e i tic nervosi diventando sicuramente la colonna su cui si poggia American Splendor.Ottima anche l'interpretazione di Hope Davis nei panni di colei che diventerà la moglie di Pekar,l'attrice attivista Joyce Brabner e di Judah Friedlander nei panni del nerd Toby Radloff,l'incredibile individuo autistico che diventò una star grazie al fumetto di Pekar.Pekar rimarrà cinisco,scostante e arrabbiato anche dopo aver raggiunto quel successo che in America si regala a coloro che impersonano in qualche modo il "sogno".Famose le sue polemiche partecipazioni al David Letterman show e il suo ultimo fumetto,Our Cancer Year,in cui si racconta la disperata battaglia dell'autore contro il cancro e conseguente depressione.Un ottimo film indipendente dalla struttura inedita che conferma lo straordinario talento di Paul Giamatti,pronto per diventare uno dei nomi di punta del panorama attoriale americano.

di Gianluigi Perrone

Saturday, July 22, 2006

PROJECT GRIZZLY

Project Grizzly merita il titolo di documentario più assurdo mai girato.Il rotocalco canadese segue l'assurda vicenda di Troy Hurtubise,un individuo che definire esaltato è un sottile eufemismo.Il tipo in questione,originario di Ontario,Canada,ha una mania pazzesca per gli orsi bruni grizzly e coltiva il sogno di poterli studiare da vicino.In realtà non sembra essere capace di studiare alcunchè ma comunque desidera affrontare degli orsi da vicino.Naturalmente un grizzly sarebbe capace di staccargli la testa con una zampata per cui il folle pensa bene di trovare un espediente per difendersi.Costruisce un'armatura indistruttibile che possa resistere agli attacchi degli orsi.Questa armatura,che sembra una via di mezzo ra un tuta spaziale di un sci-fi movie di serie b e la corazza di Gordian,si chiama UM VII(cioè Ursus Mark VII perchè non è neanche il primo esperimento del folle verso questa direzione)ed è l'attrazione principale del documentario e l'arma con cui Hurtubise affronterà la spedizione verso le montagne rocciose per andare a rompere le scatole ai grizzly.Che ci sia un folle capace di una tale follia non è sorprendente quanto il fatto che l'individuo in questione non solo ha trovato chi se lo è sposato e si è riprodotto pure ma ha anche una folta schiera di amici e sostenitori che appoggiano la sua impresa,un gruppo di bovari allucinati vestiti spesso in maniere ridicole.Quindi vediamo la preparazione di Hurtubise, che è un pazzo ramboide dalle abitudini esilaranti tipo accendersi le sigarette con la fiamma ossidrica o farsi la barba con il machete,il quale si fa scaraventare contro degli alberi,si fa pestare ferocemente dai suoi amici esaltati,si da fuoco(perchè come è noto i grizzly sputano fuoco dopo il periodo di letargo),si fa investire da un camion per testare l'industruttibilità della sua armatura.Hurtubise già di suo è un personaggio incredibile,che va in giro vestito con uno di quei giacchetti indiani con i filacci,una paio di guanti mai visti di pelle di daino senza dita,un basco rosso e un pugnale sempre pronto sulla spalla come se da un momento all'altro dovesse spuntare Predator dalla giungla.Per non parlare della sua oscena pettinatura.Praticamente un esaltato che dà la misura di che razza di gente si può incontrare in Nord America(e i Canadesi sono quelli normali,pensate cosa ci possa essere negli USA)con il mito del machismo,della sopravvivenza e del fanatismo ad ogni costo.Addirittura sull'armatura viene
posto un tubo affianco alla testa come fosse un cannone ma che non ha alcuna utilità.La scena in cui si allena la mattina mezzo nudo sulla neve è quanto di più ridicolo si sia mai visto e a maggior ragione perchè è involontario.Infatti non credo che nelle intenzioni del regista Peter Lynch ci fosse l'intenzione di deridere Troy Hurtubise(che già si deride da sè).O se voleva farlo non lo da a vedere.Il risultato è un continuo sbellicarsi dalle risate per i comportamenti allucinanti del personaggio.La cosa più incredibile è che dopo essere andati sulle montagne armati fino ai denti come se dovessero far estinguere i poveri orsi che se ne stavano per fatti loro,alla fine non riescono a fare nulla è l'UM VII rimane abbandonato sotto un albero.Tanto Troy sarà contento lo stesso,ne siamo certi.

di Gianluigi Perrone

Thursday, July 20, 2006

IL CLAN DEI BARKER

Bloody Mama è sicuramente uno dei maggiori successi di Roger Corman in qualità di regista.Sia a livello di critica che di pubblico raccolse favori un pò ovunque e fu il capostipite di una serie di film ambientati durante la depressione del 29 prodotti dalla New World.A cavallo tra gli anni 20 e 30,il crollo della borsa di New York fece migliaia di vittima non solo ovviamente tra gli uffici di wall street ma se possibile,molte di più tra la popolazione americana più povera,soprattutto al sud. Intere famiglie di,fino ad allora contadini,si ritrovarono improvvisamente poverissimi e costretti a vivere di espedienti. Come si sa la miseria genera mostri e molti disperati,senza una via di scampo,si davano al crimine per avere una rivalsa economica e sociale.Fu il caso di Bonnie e Clyde,fu il caso di Dillinger e quello di Baby Face Nelson,tutti casi di celebri criminali che sfidavano la legge,allora violenta e corrotta,con spesso l'approvazione del popolo.Tra questi casi ci fu quello di Alice Barker e dei suoi figliocci,che formarono una vera e propria associazione a delinquere di famiglia che seminava il terrore un pò ovunque.Corman rintraccia in questo una forte influenza materna che nel film è quasi morbosa.Il film fa risalire l'attitudine a delinquere di ma Barker in una violenza di gruppo subita da bambina,passata nell'indifferenza collettiva.La donna crescerà i suoi figli come un gruppo di segugi pronti a difenderla e vessati da un forte complesso di Edipo.La donna,incapace o riluttante a riconoscere e a condannare la violenza dei figli,li tratta come dei bambini che si accaniscono contro la brutalità della vita,un sentimento molto umano e realistico.I Barker scorrazzeranno in lungo in largo sostentandosi con rapine e rapimenti.Consci di avere qualcosa di ineluttabilmente oscuro nella propria personalità,ricercano la figura paterna negli occhi di ogni uomo forse perchè oppressi dal dovere verso la madre.Il film si poggia molto sulle interpretazioni degli attori,su tutti Sheley Winters ,veterana di Hollywood e nota perfezionista.La Winters,che notoriamente era una seguace del metodo Stanislawsky,pare si fosse immedesimata talmente nel personaggio di Ma Barker da avere serie crisi di disperazione per la morte dei figli anche al di fuori della macchina da presa,tanto da creare lo sgomento tra la troupe.Pare che la donna ebbe una particolare ammirazione per un giovane attore altrettanto dedito alla recitazione come immedesimazione totale,un certo Robert DeNiro,che,interpretando il figlio tossicodipente e mezzo matto,perse molti kili entrando completamente nella parte e meravigliando al stessaShelley Winters.
Roger Corman si è più volte detto fiero di quest'opera che,nel suo filone,rimarrà unica come qualità.

di Gianluigi Perrone

Wednesday, July 19, 2006

REVOLVER

Guy Ritchie ci riprova e purtroppo per lui ancora con risultati negativi.Almeno per quanto riguarda la reazione della critica che ha bollato Revolver come peggior film della sua annata.Dopo il disastro del remake del film della Wertmuller con la moglie madonna,Ritchi ritorna al crime action dei suoi precendenti successi Lock &Stock e the Snatch,cercando di calibrare meglio le proprie armi.A differenza degli altri film,infatti,Revolver ha avuto una gestazione più matura e meditata,evidente dallo script sicuramente più complessoJake Greenè un noto giocatore d'azzardo,evidentemente dalle terga notevolmente sviluppate,che pare vincere senza barare molto spesso.L'uomo si trova al tavolo verde insieme a Dorothy Macha(è un uomo eh),un temuto boss della mala che non la manda certo a dire.Anche Macha non perde mai al gioco ma solo perchè tutti lo metono e cercano di non farlo innervosire. Green invece,non solo lo batte ma lo insulta e lo umilia.A questo punto inizia la caccia all'uomo che si svilupperà come un gioco ad incastro dichiaratamente basato sugli scacchi,come viene mostrato nel film.Green elencherà le regole principali che un giocatore deve seguire esplicandole nelle azioni fino a colpire il proprio nemico rendendolo vulnerabile proprio in ciò da cui prende la sua forza,la paura della gente. C'è da ammettere che con Revolver,Guy Ritchie ha cercato una maturazione artistica notevole,lavorando di fino sulla sceneggiatura,sulle inquadrature,sul lavoro con gli attori e sui innumerevoli dettagli.A sto punto c'è da chiedersi se non sia allora proprio poco portato per la regia perchè nella prima parte Revolver è incredibilmente macchinoso e prolisso.L'errore di Ritchie è che si dilunga dove deve sintetizzare ed è stringato dove l'azione merita un maggiore respiro.Per generare la struttura complessa della sceneggiatura diventa narrativamente caotica e presenta scene in rallenty assolutamente inutili a livello contenutistico.Alta pecca è che non riesce a non farsi influenzare da Tarantino.Qui si potrebbe intuire più un legame con lo Scorsese di Casinò e Quei Bravi Ragazzi visto l'ambiente in cui si svolge l'azione e la presenza di Ray Liotta,però è indubbio che la lingua batta dove il dente ha sempresentito dolore. Anche se fossero casuali,l'accostamento con Tarantino che Ritchie ha già fatto da sè dovrebbe cercare di essere evitato.Invece ci sono gli inserti a cartoon(inspiegabili tra l'altro)e la presenza "orientale" come in Kill Bill.Puzza troppo per non dare sospetti.E se Ritchie voleva essere commerciale o cavalcare l'onda,non era sicuramente questo il momento giusto per lui,in quanto aveva da dimostrare lasua personalità.Ecco cosa manca a Ritchie:la personalità.Senza voler insinuare che Mr Madonna ne sia privo anche nella vita privata,è stato sempre un suo cruccio non riuscire a delineare il proprio stile senza che avesse rimandi troppo evidenti a dei suoi contemporanei tanto da farlo sembrare non un emulo o un citazionista ma un imitatore.Certo questa è sicuramente l'opera migliore di Ritchie e,se riuscisse a non farsi prendere dallo sconforto per le critiche,potrebbe dare buonissimi risultati.Già il fatto di aver eliminato una scena con la moglie dimostra una certa volontà. Ritchie sta imparando a scrivere emglio e le cose migliori di Revolver compaiono tutte nella seconda parte per cui si può dire che il film va in salita,il che non è poco.Se si fosse evitato il terribile spiegono finale sarebbe stato quasi perfetto.Purtroppo Ritchie non è capace di rendere il memorabile,l'epico.Non è nel suo dna cinematografico o non lo è ancora.Per adesso Ritchie viene rimandato a settembre,poi si vedrà.

di Gianluigi Perrone

JARHEAD

Lo stesso regista di AMERICAN BEAUTY si cimenta in un film di guerra permeato da una critica pungente ma non troppo. Con un inizio che vuole richiamare /citare FULL METAL JACKET e con le immagini di APOCALYPSE NOW a metà film, si vuole mostrare quanto la guerra sia uguale nella sua ciclicità e quanto la si veda attraverso stereotipi da qualsiasi angolazione la si osservi, anche dall’interno (è dall’interno, in prima persona, che ce la mostrano qui). Mendes ci ricorda, non ci fa capire ma ci ricorda, quanto la guerra possa essere noiosa vista dall’interno, o per lo meno diversa da come viene mostrata. Questo vale sia nel caso una guerra sia cruentissima sia nel caso sia di stazionamento. I soldati descritti in questo film sono le prime linee durante il conflitto che vede impiegati gli Stati Uniti in difesa del Kuwait, nome che si può tranquillamente sostituire con “petrolio”.
E’ proprio il fatto che il regista "ci ricorda" a non far a mio avviso decollare il film come avrebbe potuto, molte cose che si accinge a "svelare" non sono poi affatto stupefacenti, sono cose intuibili e proprio per il discorso della ciclicità in parte risapute, sebbene alcuni spunti siano architettati in maniera molto intelligente, come quello sulla globalizzazione, reso a metafora con un soldato che descrive il suo pasto come spaghetti alla marinara piccanti, e siamo in mezzo a un deserto.. Tolta la narrazione scanzonata e accattivante, però già vista in precedenti film del regista, non abbiamo poi tanto di cui impressionarci o da ricordare.
Non un film da evitare, anzi, ma nemmeno da tesserne tante lodi e di sicuro da non inserire nell’olimpo dei film di guerra. Il problema di Mendes è che continua a tentare di girare dei film "indipendenti" quando non lo sono affatto, oltre all’essersi impantanato in una sorta di manierismo...

di Davide Casale

Sunday, July 16, 2006

THRILLER-A CRUEL PICTURE

Conosciuto anche come They Call her one eye(La chiamavano occhio solo)Thriller è stato recentemente sdoganato(insieme
a molti altri)da Tarantino in Kill Bill attraverso il personaggio di Daryl Hannah.In realtà il tema della vendetta viene esposto in questo film del regista svedese Bo Arne Vibenius(che qualche anno prima fu assistente alal regia nientemeno che in Persona di Bergman) in maniera molto diversa.La delicata Christina Lindberg interpreta Madeleine,una ragazza muta con un passato di abusi sessuali in età infantile.Il destino sembra accanirsi su MAdeleine quando viene rapita da un uomo apparentemente affabile che la droga,la riduce in schiavitù e la tiene a lavorare come prostituta.Inoltre per punirla delle sue disobbedienze la priva brutalmente di un occhio.Madeleine subirà ogni tipo di umiliazione fisica e psicologica fino a coltivare un rancore cieco e senza via d'uscita.Presto Madeleine plasmerà il suo corpo per imparare a combattere ed a uccidere per cercare quella vendetta che pare essere l'unica sua ragione di vita. Vibenius decise di produrre questo film quasi per disperazione,cercando di ammortizzare le perdite del suo primo film,senza immaginare che in realtà questo sarebbe stato il suo film meglio ricordato.In effetti Thriller ha tutte le caratteristiche di un exploitation movie e apparentemente potrebbe essere considerato un normale rape and revenge.Tuttavia ci sono delle caratteristiche,volute o meno,che conferiscono al film una vena autoriale.La totale mancanza di colonna sonora e l'agghiacciante freddezza,asetticità delle immagini conferiscono un
valore fortemente cinico e,come da titolo,crudele alla pellicola.Purtroppo il film perde durante la seconda parte del film in cui Madeleine trova la sua vendetta a causa di un uso sconsiderato ed incomprensibile del ralenty.Ogni scena di violenza viene dilatata all'infinito e totalmente privata del suo senso tanto da far supporre che questa scelta sia servita a sopperire alle probabilmente scarse capacità della Lindberg di affrontare realmente dei combattimenti.

di Gianluigi Perrone

CHI UCCIDERA' CHARLEY VARRICK

Incredibilmente pulp la vicenda di Charlie Varrick,ex-acrobata dell'aria,disinfestatore e rapinatore a tempo perso.L'ultimo degli indipendenti non si scompone mai,mangia dei chewing gum invece di fumare sigarette e pianifica tutto nei minimi particolari.Il gioco ad incastro che innesca il film di Don Siegel è tra i più riusciti tra i crime thriller degli anni '70.Charlie e la sua band compiono una rapina in una piccola banca del sud ovest per tirare su un pò di bigliettoni.La sopresa che gli aspetta è che la rapina ammonta a 750.000 dollari.Charlie capisce subito che la banca è una copertura e che i soldi sono della Mafia.Da adesso metterà su un piano per liberarsi del fastidioso complice,della polizia che ha alle calcagna e della Mafia che gli ha messo alle costole un pericoloso killer.
Charlie Varrick è uno di quei classici fatti di mestiere e sapienza nel dosare le parti.Ottimi interpreti e una regia,quella di Siegel,sempre puntuale,attenta,ritmica e inconfondibile.Basti guardare l'assurdo rodeo finale tra un'automobile ed un biplano per rappresentare l'amenità di questa pellicola.La sceneggiatura è sapientemente pepata da dialoghi surreali,personaggi esasperati come Joe Don Baker nella parte del trucidissimo Molly,cafonissimo e antipaticissimo,John Vernon come Maynard Boyle,un banchiere mafioso dai modi raffinati o Sheree North,una fotografa a dir poco sensuale e da situazione divertenti e amorali come il protagonista che non si scompone più di tanto difronte alla morte della moglie e che architetta tutto stoicamente per battere da solo,indipendentemente,tutto il sistema.Sicuramente più di un regista moderno ha preso da Siegel queste magnifiche intuizioni(si parla naturalmente di Tarantino ma anche di Bryan Singer che per i Soliti Sospetti deve aver tenuto ben conto di questo film)e ne ha fatto tesoro.Walter Matthau immenso come sempre.

di Gianluigi Perrone

ANNO 1929-STERMINATELI SENZA PIETA'

La prima esperienza cinematografica commerciale di Martin Scorsese(quindi sucessiva allo studentesco Chi sta bussando alla mia porta?)fu sotto l'ala protettrice di Roger Corman,allora nel cuore del suo successo produttivo e mecenatistico verso giovani talenti. In quel periodo Corman aveva avuto un notevole successo di critica e pubblico con Il Clan dei Barker e quindi si mise a produrre una serie di film ambientati durante la grande depressione degli anni 30 negli Stati Uniti tra cui questo Boxcar Bertha e Big Bad Mama.Con un budget di 600.000 dollari(standard per la New World Production)Scorsese tirò su un film in pure stile cormaniano che molto poco aveva a che fare con quelli che saranno i temo e gli stilemi del regista newyorkese.
La storia di "Boxcar" Bertha Thompson(Barbara Hershey),pare essere vera e racconta la storia di una giovane ragazza rimasta incidentalmente orfana del padre aviatore,che si trova catapultata nella vita proprio nel momento in cui gli abitanti degli Stati Uniti stavano diventando improvvisamente poveri e,spinti dalla miseria,inesorabilmente selvaggi.Bertha si trova a diventare in fretta adulta e a scendere in qualche moda la china.Per amore di Big Billy Shelley(David Carradine),un attivista di sinistra,diventerà una bandita,come spesso avveniva quegli anni,per sopravivere e,in questo caso,per combattere in qualche modo il sistema.Scorsese ci tiene a sottolineare la ferocia contro cui il governo si scagliò contro "i rossi" tanto che il personaggio di Carradine diventa un vero e proprio perseguitato che,in un tragico epilogo,verrà paragonato a un cristo morente.
Al di là delle implicazioni politiche,che vedevano sia Scorsese che Corman sicuramente d'accordo,la pellicola risente di alcune forzature di trama e ingenuità stilistiche.Scorsese oltre a non essere maturo sicuramente non si trovava a suo agio con una storia che vedremo non essere nelle sue corde,anche se regala dei momenti intensi soprattutto nella parte finale del film.Ovviamente come richiesto dal protocollo produttivo abbonda la violenza(sparatorie ogni 5 minuti)e il sesso,che,pare,sia stato tutt'altro che finto tra David Carradine e Barbara Hershey.Scorsese giustamente non rinnegherà mai questo suo passaggio attraverso la exploitation anche se probabilmente in quel periodo la sua vena artistica era concentrata più verso la propria realtà,tant'è che di lì a poco comincerà a rivoluzionare il cinema con Mean Street.

di Gianluigi Perrone

ZOZZA MARY,PAZZO GARY

Non ci è dato sapere chi diavolo sia questo Gary che si becca del pazzo nel titolo italiano di "Dirty Mary Crazy Larry" ma di sicuro farebbe fatica a superare la testa bollente del personaggio interpretato da Peter Fonda,che già di suo non aveva tutte i venerdì. La "zozza" Mary(Susan George),invece.è la ragazzina svampita,tendenzialmente ladra ed un pò puttanella che non ci sta a farsi mollare nel letto da Larry dopo una botta e via e non perde tempo per inseguirlo. Peccato che non sapesse che lui ha organizzato quella mattina un grosso colpo col il suo meccanico Deke(Adam Roarke):mentre Deke tiene in ostaggio la moglie e la figlia di un direttore di un ipermercato,lui si farà consegnare dall'uomo l'incasso per poi raggiungere la frontiera. A questo punto,senza rendersi bene conto di quello che fa,Mary si troverà a condivideere la fuga disperata dei due rapinatori.
Dirty Mary,Crazy Larry è uno dei classici car chase road movie americani incentrati dalla fuga dalla legge. Da un racconto di Richard Unekis John Hough(American Gothic) trae il film che forse contiene le migliori scene si corda in macchina della storia del cinema.L'ingenua sfacciataggine di Mary,la sfrontata e spaccona libertà di Larry frenati a malapena dal buon senso di Deke si riversano su un manuale di come non si dovrebeb mai guidare un'automobile.Le scene sono particolarmente emozionanti non solo per la qualità delle acrobazie azzardate,anche se mai esagerate ed inverosimili come potevano essere quelle di Hazzard,ma anche per la perizia registica di Hough che ci fa entrare direttamente nel cuore dell'azione. Doveroso citare lo stunt coordinator Al Wyatt Sr. che avrà fatto venire una bella serie di infarti alla troupe tentando scene di impatto pericolosissime e inseguimenti mozzafiato. Su tutti l'inseguimento con l'elicottero che è veramente da definire "on the edge". Per orchestrare tutto questo la produzione ha "sacrificato" ben sei Dodge Chargers color giallo-lime,sfruttandole fino all'osso.Un tipico cult anni '70 che con gli anni è invecchiato benissimo acquistando in valore.

di Gianluigi Perrone

Tuesday, July 04, 2006

THE PROPOSITION

Se c'era qualcuno oggi di mettere della poesia in un western crudo e sanguinolento quello non poteva essere che Nick Cave.
Se c'era qualcuno che poteva tradurre in immagini la potenza narrativa dello script di Cave,quello non poteva essere che John Hillcoat. I due Australiani avevano già collaborato insieme per Ghost of the Civil Dead e in diversi video musicali di Nick
Cave e continueranno a farlo anche nell'imminente Death of a Ladies Man. La grevità raggiunta dalla simbiosi dei loro talenti in the Proposition però,sarà forse irraggiungibile.
Siamo agli inizi del diciannovesimo secolo,nella polverosa e selvaggia Australia rurale. La banda dei fratelli Burns ha sterminato una famiglia e violentato una giovane donna incinta. La polizia,a capo del Capitano Stanley è riuscita a catturare
due dei banditi:il giovane Mickey e il taciturno Charlie. Stanley però ha altri interessi. E' ossessionato dal capobanda Arthur Burns e fa l'estrema proposta a Charlie. Entro nove giorni dovrà scovare e uccidere Arthur altrimenti il giovane Mike,nel giorno di Natale,penderà dalla forca.
Nonostante l'atmosfera e l'intero film possano essere visti come una trasposizione in immagini di tutto l'universo(musicale e non)che circonda la figura del bluesman australiano,Nick Cave,si possono ricercare nell'opera echi del cinema western di
Sam Peckinpah. La sceneggiatura di Nick Cave e la regia sincopata e sofferta di Hillcoat sanno dare a the Proposition quello che Peck sapeva dare ai suoi western:il sapore della leggenda.
La sofferta storia dei Burns,eroi balordi in un mondo peggio di loro,si muove tra un ambiente di ferocia,disumanità,sadismo,ipocrisia e soprattutto dispresso razziale verso gli aborigini leggittimi proprietari di quelle terre. Gli interpreti sono tutti estremamente intensi da un algido Guy Pierce al selvaggio Danny Houston fino a una breve ma significativa parte di John Hurt. Dall'altra parte opposta della barricata l'indispensabile candore femminile di Emily Watson si oppone al bravissimo Ray Winstone,il Capitano Stanley,forse vero protagonista del film. Un mastino feroce e fanatico che diventa un agnello al cospetto della moglie rivelando le proprie intime debolezze emblema di una terra che usciva le unghi e i denti per difendere la propria meschinità.The Proposition è la voce roca e rasposa di un passato che ritorna mostrando le proprie dita insanguinate,verso un destino allora ancora incerto. i dialoghi stupendi carichi di significati semantici si fondono un tutt'uno con la colonna sonora come un'unica interminabile ballata scura e polverosa. La nenia infantile nella voce di una bambina che osserva stupita il nascere di una nazione su fondamenta bagnate di sangue e violenza.

di Gianluigi Perrone