Monday, March 17, 2008

Redacted di Brian De Palma (2007)

Altra guerra, altre vittime. “Redacted” è un documento filmato che cerca di ridare il volto agli orrori bellici insabbiati, che non accetta più di essere filtrato attraverso la spettacolarizzazione di una pellicola o di una trama articolata come invece nelle opere grandi del genere, da “Platoon” a “Nato il quattro luglio”. “Redacted” è la storia di una vendetta che porta ad altra vendetta che porta ancora ad una vendetta e così via, all’infinito come un serpente che si mangia la coda. Il plot ricorda moltissimo il precedente lavoro del 1989 di De Palma, “Vittime di guerra”, dove un gruppo di soldati nel Vietnam decideva di segregare e stuprare una ragazzina locale per poi ucciderla. Qui cambia il luogo, l’Iraq, e il modo di raccontare il tutto: basta rallenti, basta virtuosismi di camera, è un cinema non cinema ripreso dall’occhio di una telecamera amatoriale e trasmesso attraverso i canali più comuni di fruizione: you tube, i Tg, siti talebani. Non ci si può affezionare a nessuno, né al cameraman che diventerà lui stesso oggetto da riprendere ed essere ripreso, né al presunto eroe che sbraita ma non fa nulla per fermare gli orrori che si stanno compiendo né agli stessi iraqueni che massacrano a mente lucida un soldato qualsiasi. Cosa rimane quindi? Forse il filmare noi stessi e urlare ad una web cam il nostro orrore perché “che sia Iraq o Vietnam non cambia un cazzo” o magari piangere mentre il mondo ti acclama come un eroe. Non è tanto la violenza mostrata ad essere terrorizzante, ma l’idea stessa della violenza, di cosa l’uomo può fare e come nemici differenti hanno la stessa brutalità nell’agire. La macchina da presa documenta giornate sotto il sole di questi soldati che aspettano solo un segnale per tornare a casa, che possono uccidere donne incinte solo perché analfabete, che vivono il terrore di una bomba nascosta sotto il sole. E’ un pianeta sconosciuto, dove i militi americani sono alieni goffi e sperduti, dove la violenza è una dimostrazione che la paura sprona i vigliacchi a sottomettere i più deboli. E’ proprio nei primi minuti quando la telecamera del soldato Salazar si ferma su piccoli particolari, zoomando sulle note di Händel, come già Kubrick, che cogliamo l’alienazione di uomini mandati a morire senza forse capirne i motivi. Il sole che fa sudare, una mosca, dei bambini che giocano a pallone, il tempo viene azzerato in una perenne attesa del nemico nascosto ovunque. De Palma gira non la sua opera migliore, ma un film esperimento interessantissimo, in antitesi con la spettacolarizzazione di un certo cinema finto amatoriale come i recenti “Cloverfield” e “Rec”. Le ultime immagini con i frame di bambini mutilati o ustionati dalle bombe sono di difficile digestione, una raffigurazione dell’orrore della guerra nell’orrore stesso delle sue vittime. Titoli di coda in un silenzio agghiacciante da restare davvero senza più nessuna parola dopo.
di Andrea Lanza

Wednesday, March 05, 2008

Boogeyman 2di Jeff Betancourt (2008)



C’è stato un periodo dove la paura per il buio la faceva da padrona al cinema. Abbiamo avuto film ottimi come Darkness ed altri sicuramente mediocri come i vari ed anonimi They, fear of the dark e Al calar delle tenebre. Boogeyman di Stephen Kay (sublime il suo Get Carter con Sly però) non faceva difetto presentando stancamente i soliti clichè del genere (luci che vanno e vengono, mostri visibili solo alla fine) difettando in più dello smodato uso di una becera computer grafica per rappresentare l’Uomo nero del titolo. Di un secondo capitolo non sentivamo di certo il bisogno, ma proprio quando le speranze vanno a scemare ecco che arrivano i miracoli. Oddio niente da urlare al capolavoro, ma Boogeyman 2 dell’esordiente Jeff Betancourt è un bello spettacolo carico di suspence e di splatter bello corposo che non ti aspetteresti mai da una produzione mainstream. Il plot verte di più, rispetto al precedente capitolo, verso il thriller slasher, ma non dimenticando però le venature horror fantastiche. La trama non brilla certo per originalità, ma porta delle morti molto inventive: una ragazza autolesionista legata e coperta di vermi si distruggerà le vene per toglierli via, un ragazzo fissato con l’igiene ingoierà dell’acido per pulire la sporcizia del suo corpo e così via. Non solo: come già accennato il reparto splatter non è taccagno, già dalle prime scene assistiamo ad un accoltellamento con budella che escono copiosamente fuori e, verso metà film, ad un ragazzo viene aperto con un aggeggio il petto con tanto di cuore che pulsa vivo. Siamo più sul genere Saw (e la presenza di Tobin Bell il Jingsaw della serie non è casuale) con echi di Nightmare 3 soprattutto nella scelta di ambientare la vicenda all’interno di un “manicomio” per adolescenti problematici. Il film poi ha pure un colpo di scena molto ben azzeccato che rigira un po’ le carte in tavola arrivando persino a sorprendere un po’ il pubblico. Direi che è sicuramente un passo avanti e le strade sono aperte al numero 3. Ma non è detto che il miracolo si ripeta.
di Andrea Lanza

Saturday, March 01, 2008

Day of the dead di Steve Miner (2008)


Cominciamo subito con le cattive notizie, di quelle che sono ferro caldo sulla carne: “Day of the dead” di Steve Miner è un film bruttissimo, uno dei peggiori zombi movie girati. E aggiungiamo che un po’ ci dispiace. Si, perché sarebbe bastato davvero poco per fare un film non dico bello, ma almeno decente. Se c’è riuscito un novellino al suo primo lavoro serio come Zack Snyder (e “L’alba dei morti viventi” possiamo dirlo sempre paura è un capolavoro), perché non doveva riuscirci un veterano del cinema del terrore come Steve Miner? Cioè il regista di un cult come “Chi è sepolto in quella casa?”, di uno dei migliori Venerdì 13, “L’assassino ti siede accanto”, di un sottovalutato crocodille movie come “Lake placid” e del nuovo restyling di Michael Myers “Hallowen H20”… mica il primo scemo che passa per strada. Eppure “Day of the dead” è un pastrocchio incredibile che non si vergogna neppure di omaggiare il “Giorno degli zombi” di Romero. C’è aria davvero di film di scarto, di progetto lasciato a marcire come i suoi mostri al sole, una spaccatura netta tra una prima parte anche ottima e una seconda parte così disastrosa da non poterci credere. Colpa di Miner? Forse, ma lui ce la mette davvero tutta: la sua regia è veloce, virtuosistica a tratti, impeccabile sul piano tecnico. Quello che non va è il resto. Da lasciare sbigottiti la violenza nei confronti del prototipo romeriamo: non esiste più un gruppo di sopravvissuti nascosti in un bunker sotto terra, il mondo non è più dominio dei morti viventi, i militari non hanno più potere assoluto. La critica a certe forme di potere è stata spazzata da un’idea da teen movie dell’horror, un po’ alla Kevin Williamson, si è abbassata l’età dei protagonisti, il gore è ai limiti storici, la tensione latita, è il bigino dei bigini dove la cretineria è l’unica cosa ad essere abbondante. Di chi è la colpa quindi? Se scrutiamo tra i produttori si può capire come possa nascere già castrato questo progetto. Signori e signori ecco James Dudelson, il regista e autore di obbrobri come “Day of the dead 2: contagium” e “Crepshow 3”, l’unico stronzo che si è permesso di comprare fior fior di licenze romeriane per fare dei seguiti così imbecilli da non crederci. E ora artefice di questo nuovo “Day of the dead” e probabile colpevole del suo disastro assoluto. Il film sembra nella prima parte un prequel di “L’alba dei morti viventi”: l’epidemia (simile ad un raffreddore come “Contagium”) non è ancora sviluppata, ha zombi velocissimi come nel film di Snyder, persino uno stesso attore, Vhing Rames, in panni diversi però. Questo è comunque il segmento migliore del film, il più inventivo, quello che appassiona di più pur nella sua risaputezza. Poi il film va in tilt: qualcuno però si deve essere accorto che si chiama “Day of the dead”, non “Dawn of the dead 2” e allora, sicuro come l’oro, si sono creati ad hoc dei nuovi personaggi e nuove situazioni. Ecco allora spuntare come per magia un bunker sotterraneo, un dottore pazzo zombi, un morto vivente intelligente che sa pure sparare come nel film di Romero. Come dire ai fan: vedete che non vi abbiamo preso per il culo? In mezzo a questo delirio ci sono scene così sceme da far ridere fino alle lacrime: in una i militari aprono spaventati a calci delle porte dove dei grossissimi vetri facevano vedere comunque loro che non c’era pericolo, in un'altra i protagonisti sono in fila e, mentre parlano, un morto vivente attaccato al soffitto prende uno di loro senza che nessuno si accorga di niente. Roba da Scooby doo. Non parliamo poi di un finale davvero da deficenti con l’idea di un seguito che, Dio voglia, non deve essere fatto mai. Gli attori si adeguano: Vhing Rames è specchio per le allodole per i fan del film di Snyder, fa una micro parte per diventare uno zombi dinoccolato che si ingoia un occhio, Mena Suvari è fuori parte, fuori contesto, fuori tutto, il resto è roba da sagra oratoriale che sa solo agitarsi senza perché. Magari avessero poi spiegato se sono zombi o infetti alla “28 settimane dopo”. Non stupisce il film abbia avuto mille problemi distributivi, mille annunci rimandati di uscite imminenti fino all’idea di non distribuirlo mai. Dispiace dirlo, ma questa soluzione sarebbe la migliore. Peccato.

di Andrea Lanza