Sunday, May 04, 2008

The Frightening di David Decoteau (2002)


Decoteau… Decoteau… Decoteau… Chi è? Che fa? Ci fa? Esiste? Domande che suonano retoriche se si vuole, allo stesso pari dei grandi enigmi della storia umana. E’ nato prima l’uovo o la gallina? La pro zia è un simbionte alieno che imita tua zia? Governo ladro… Non può piovere per sempre… Non esiste la mezza stagione… Quando c’era LUI i treni arrivavano sempre in orario… E così via in tripudio di frasi fatte che riescono soltanto ad accrescere il dubbio su come possa esistere un essere (alieno, umano o incerto non è dato saperlo) che possa girare film così brutti ed ottenere un certo successo di cassetta che lo elegga persino regista culto in qualche paese terzomondista (Burundi, Sri Lanka, Italia). Decoteau è l’Ed Wood del cinema gay, un uomo che strabatte i testicoli della coerenza narrativa, della tecnica cinematografica, dei buoni effetti speciali, per lui basta soltanto adibire la sala a mò di film porno con Gianna Michaels, la Jenna Jameson della serie B, e metterci una strafiga come ornamento per una bella orgetta di maschi in boxer bianchi. Roba che uno potrebbe dire “Cazzo, ma è un horror gay” con vari problemi di natura psicologica scatenanti: oddio lo vedo solo io, oddio non è che sarò anch’io gay, cazzo ma questi qui si toccano tra loro eppure guardano le ragazze, psicologaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa! E bravo Decoteau, l’Houdini del cinema eteramente omosessuale, lui in questa ambiguità ci sguazza come un maialetto nel trogolo, contento di vedere bei ragazzoni dai bicipiti scolpiti, vendere il tutto a ragazzette in fregola che nulla capiscono di cinema e, cosa importante, contare i soldi guadagnati. Maledetto uomo dal nome da uovo alla coque! Ma torniamo al film perché di tutto abbiamo parlato forchè di questo nuovo prodotto che si vuole thriller horror. Male perchè “The fightening”, come già in passato “Ring of darkness”, è un prodotto quasi discreto. Questa volta Decoteau quasi sembra svegliarsi dal torpore solito, gira sì come un epilettico le scene cercando un virtuosismo che non ottiene, ma cazzo per lo meno ci prova! Di solito i Decoteau movie hanno questa macchina da presa che si sposta solo se la pendono a calci, qui invece è pimpante per lo meno, si muove tra i corridoi di una scuola come un Dario Argento cieco, non sta mai ferma in una sorta di vaffanculo della buona tecnica cinematografica, ma è un inizio comunque dopo tremila film di torpore quasi comatoso. La storia, pur nei suoi dialoghi scemi, è meno stupida del previsto: si affronta un tema caro a Romero e King, quello degli psicopompi (niente battutacce please!), ovvero figure divine che accompagnano le anime dei morti dalla nostra Terra all'oltretomba. Il Re del Maine li descrive come uccelli, Decoteau meno sottilmente come adolescenti che nerovestiti uccidono i trapassati per permettere il passaggio. Il sangue incredibilmente scorre abbastanza (qualche bella coltellata) e il film regala, soprattutto nella conclusione della vicenda, qualche bel colpo di sceneggiatura con un finale tutt’altro che risaputo. Si sa che è sempre Decoteau, ma anche il livello di uomini in boxer bianchi è inferiore a robacce come “Final stab” e il film, pur se ridicolo (tra tutto i sogni o i ripetuti rallenti che si vogliono enfatici), è interessante. Si potrebbe quasi consigliarlo. Quasi, naturalmente.


di Andrea Lanza

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