Thursday, December 01, 2005

CRASH-CONTATTO FISICO di Paul Haggis (2005)

Vite intrecciate.Sembra ormai un dictat per un certo tipo di cinema americano la composizione corale di avvenimenti di matrice random.E così è Crash,opera prima dell'oscar per Million Dollar Bay Paul Haggis,che tesse insieme i destini di una coppia di sbandati,un leader politico,una coppia in crisi,un pugno di poliziotti difronte al compromesso morale,tutti sotto il dilemma dell'identità razziale.Nella sua struttura ciclica spiroidale Crash si propone di analizzare i mille "perchè" che la società americana affronta dinanzi alla questione razziale,i differenti volti del pregiudizio unanime da parte di bianchi,neri,asiatici,arabi,umani.Ogni segmento del film ci racconta una vicenda,drammatica per lo più,in crescendo esponenziale,pregnandola di antisemitismo a diversi stadi,quello ipocrita,quello quotidiano,quello nascosto,quello volgare,quello mostruoso.Il sentore che il regista abbia cercato,forse troppo ingenuamente,di voler fare della facile morale è forte tanto che il tema portante diventa di volta in volta troppo scandito e ripetitivo ma si lascia vedere, con furbizia e inedito mestiere per un autore che dimostra che,oltre a saper scrivere,sa anche fare bene il regista tirando quel filo un pò meno di questo,come meglio gli viene.Ed è questa imperfezione che conferisce l'importanza a Crash di codificare una maniera di fare cinema,rendendola più evidente,forse più macchinosa.Non si può negare ormai che Altman abbia fatto scuola e gli anni a venire lo dimostreranno sempre più spesso.E' però quell'opera universale di Paul Thomas Anderson,Magnolia,a rivelarsi come la matrice che muove le redini del regista,la qual cosa è ammessa,evidenziata e celebrata nel finale metereologico/musicale del film.Voler accostare questo film a Magnolia,però,sminuisce goffamente sia il capolavoro di Anderson che verrebbe immeritatamente privato della sua dialettica al limite della dottrinalità sia Crash che vuole,anche non riuscendoci in pieno,affermare una sua personalità che mira ad intenti tutt'altro che simili a quelli già discussi per il lavoro di Anderson.Haggis ne prende i canoni,una soundtrack eterea e meditativa,un gruppo di buoni attori a cui vengono cuciti addosso protagonisti amalgamati verso un destino ineluttabile (a legarsi indissolubilmente con Million Dollar Baby) ed il bene e il male sopra ogni cosa,tritati(ma ancora non ritriti)un pò macchinosamente ma munendoli di una dignità a sè,il che non è affatto poco.Il fatto che questo possa non essere apprezzato non è solo importante ma necessario.

di Gianluigi Perrone

IL GUSTO DELL'ANGURIA di Tsai Min-Liang (2005)

Tsai Ming-Lian riprende i personaggi di Che Ora è Laggiù per trasportarli ancora di più alla deriva dell'incomunicabilità e della mortificazione morale.Ancora di più che nelle opere precedenti,il regista Taiwanese ci accompagna nella quotidianità squallida della città affollatissima dove i suoi tristi protagonisti cercano un'angosciosa espiazione dell'esistenza intrappolati nelle minuscole gabbie dei propri appartamenti,celle di metallo e cemento nell'immenso alveare metropolitano.Quello che vuole essere esplicitamente La Nuvola Ribelle(dal titolo originale)è di essere un'opera sulla totale perdita dei valori e della purezza dei rapporti umani che i protagonisti cercano con una passione famelica,inutilmente.L'elemento dell'acqua,un must dell'autore,anche qui la fa da padrone ma occluso in contenitori plastici e sprecato disperatamente fino alle ultime goccie,viziato dall'immondizia dell'uomo moderno.Potremmo definire la pellicola un porno/musical a tinte variabili che cangiano dalle sfumature opache della piattezza dell'incapacità di provare amore e sincero desiderio primordiale ai colori sfavillanti del sentimento più puro che fanno anche da contraltare alla struttura narrativa della vicenda.Il finale non lascia speranze all'anima che deturpata e ormai vuota si concede alla necrofila ricerca dell'ultimo piacere,quando ormai mura insuperabili dividono anche il più basso afrore sessuale.La vana catarsi dei sentimenti,tutt'altro che platonici,per Ming-Liang è la chiave della propria personale esistenza cinematografica che,come un cantilena triste,snocciola all'infinito nelle sue opere con una coerenza stilistica e contenutistica commoventi.

di Gianluigi Perrone

CACHE'-NIENTE DA NASCONDERE di Michael Hanneke (2005)


Se si potesse definire veramente il cinema di Michael Haneke si dovrebbe necessariamente portare il pensiero ad immagini che ricordino la densità angosciante delle paure sociali,della disperazione infantile di essere abbandonati,della miseria della colpa negata.Affidandosi a Daniel Auteil e Juliette Binoche,stavolta Haneke fissa staticamente la macchina da presa davanti alla vita della famiglia alto-borghese di un intellettuale francese,presentatore di una trasmissione televisiva.Un uomo dalla vita irreprensibile e seria al quale nulla potrebbe intaccare la tranquillità.Un uomo di cui non avrebbe senso spiare i movimenti per poi documentarli su cassette appositamente recapitate a casa,senza un perchè il regista si muove con la sua consueta calma,osservando ogni spostamento con la fluidità del plasma questa volta senza dover ricorrere troppo spesso a quella furia passionale che aveva contraddistinto altre sue opere come La Pianista o Funny Games."Cachè" analizza senza esplicitamente condannare la piccola colpa primordiale,quella insita nel profondo,quella infantile che può distruggere senza mortificazione la vita degli uomini senza dover dare spiegazioni.Meritatissimo il premio a Cannes per la regia,che fa veramente un salto di qualità senza essere mai eccessiva,volgare,di maniera.Haneke tesse le sue spire intorno al collo allo spettatore inglobandolo in un'angoscia nera come la pece,trasportandolo in un orrore migliaia di volte più intenso di quello della fantasia,proprio perchè quotidiano e quindi palpabile.Il regista col tempo diventa più gigante e il suo intento di distruggere lo spettatore si fa sempre più vivido.Che sia lui il criminale che girerà,un giorno,la pellicola che uccide?


di Gianluigi Perrone