Tuesday, September 02, 2008

The Mad di John Kalangis (2007)



Una ventina di anni fa andavano di moda gli horror ironici, titoli principi di questo sottogenere i vari “Un lupo mannaro americano a Londra”, “Ammazzavampiri” e “Vamp”, ma è stato un periodo abbastanza breve; come si sa però le mode prima o poi tornano. “The mad” appartiene a questo tardo filone di nuovi horror ironici che ha avuto l'apice massimo negli ultimi anni con gli inglesi “Shaun of the dead” e “Severance-tagli al personale”. In questo caso niente di eclatante, ma comunque uno spettacolo schiacciapensieri spassoso che paga soltanto un budget ridicolo che non permette in pieno di sviluppare l'aspetto più truce della pellicola. Il “ The mad” del titolo è un padre di famiglia imborghesito, un tempo leader di una band di musica rock anni '80; si troverà suo malgrado a combattere contro un'orda di cadaveri affamati di carne umana. Punto forte della pellicola i dialoghi curatissimi e citazionisti, già cult la discussione se i nostri eroi si stanno trovando davanti a morti viventi o ad appestati dal morbo della mucca pazza. Molte le trovate da ricordare tra cui un tango tra il protagonista e una zombi terminato con un caschè al colpo di fucile o la sequela di sfighe che accadono al ragazzo più giovane (piede divorato da un morto, colpo di pistola alla schiena, hamburger cannibale sulla faccia e infine pasto succulento dei morti viventi). “ The mad” non è come sembrerebbe all'apparenza una commedia sui morti viventi, ma una storia di conflitti generazionali sullo sfondo ornamentale di un'apocalisse di morti viventi. La regia di John Kalangis è di pura routine, ma l'interpretazione di Billy Zane è fenomenale, confermando la vena comica che l'attore di “Titanic” ci aveva dimostrato in “Il cavaliere del male”. Da noi uscito direttamente in dvd: una visione comunque la vale, non si sa mai che possa diventare un cult di mezzanotte.
di Andrea Lanza

Thursday, August 28, 2008

Blood trails di Robert Krause (2006)


“Blood trails” non è solo un brutto film, è un film stupido. E questo è sicuramente il suo maggior difetto. Si salvi pure la regia di Robert Krause che ogni tanto un paio di scene ben confezionate sul piano della suspence riesce anche a metterle in canestro, si salvino pure gli attori che, pur non eccellendo in virtuosismo recitativo, danno anche una caratterizzazione non disprezzabile dei personaggi, ma Dio Santo la sceneggiatura è quanto di più demenziale uno possa immaginare, roba che “Scary movie” diventa un dramma elisabettiano. Finchè la protagonista tradisce il fidanzato ok, anche quando i due vanno in vacanza insieme ci siamo, lo stesso per la corsa in montain bike tra le impervie viuzze di montagna, ma quando a km e km di distanza l'amante della notte si ripresenta uccidendo con un colpo da playstation (mezza luna al contrario) il cornuto e mazziato (aveva appena accettato la scappatella) arrivano i guai. Uno dice: ok sei tanto sfigata da scegliere tra mille luoghi per fare le ferie proprio quello dove risiede il tuo occasionale amante, poi non un tipo apposto, no no uno che si diverte forse a stuprare le bambole ed andare in giro di notte nudo ad uccidere le galline, ma un tipo così dovevi scegliere per fare le corna al tuo uomo? Quando poi vediamo la protagonista scappare lontano lontano lontano e trovare sempre il killer ad aspettarla nei luoghi più inaspettati può venirci spontaneo il dubbio che forse forse stiamo assistendo ad un remake di “Alta tensione” di Alexander Aja. Eh già tutto combacia: magari il killer lo vede solo lei, magari ha dato di testa e alla fine vedremo le diverse scene sotto un punto di vista che si vuole spiazzante; prevedibile ok, ma per lo meno non stupido. Invece no il film è proprio così: lineare, sfrontato nel suo essere così fuori tempo massimo ad invertire i ruoli di “Attrazione fatale”, sottilmente cretino e disonesto con l'intelligenza dello spettatore nel creare situazioni assurdamente non sense. Non ci sono scuse: “Blood trails” è uno dei concorrenti più quotati per vincere l'Oscar della paraculaggine. Già me lo vedo sogghignare in Germania il regista Robert Krause dicendo “Vi ho fregato tutti. Vi ho fregato tutti”. Eh già perchè le foto di scena erano succosamente al sangue e la copertina molto bella, ma come insegna il proverbio: non tutto è oro quello che luccica. Forse se avessimo prestato fede alla puzza di rancido...
di Andrea Lanza

Saturday, August 23, 2008

Birth rite di Devin Hamilton (2003)


Amanti del cinema caciottaro, scoreggione, paraculo ecco per voi il pane degli angeli: “Birth rite” di Devin Hamilton. Difficile trovare titolo peggiore, peggio girato o peggio recitato. Nulla davvero funziona in questa storiella di magia nera e streghette puttanelle, nulla che anche per un nanosecondo faccia pensare per sbaglio a qualcosa di buono. Per cominciare abbiamo una protagonista alta un metro e un puffo, brutta come la morte, cicciottella persino, che si ostinano tutti come un mantra a dirci durante il film di quanto sia appetibile sessualmente. Meglio sicuramente la sorella maggiore, una specie di pornostar di trent'anni con due tette paura che il coraggioso regista vuole spacciare per una diciottenne o giù di lì, ma che per forza di una sceneggiatura scema come poche nessuno durante il film cagherà neppure di striscio. Tutti invece con la bava in bocca a cercare di infilarsi nelle mutandine della bonzona strega sanguinaria. Abbiamo poi un antagonista che agisce come un idiota che in una scena regala un diadema alla protagonista dicendole che l'indomani cominceranno i suoi poteri e subito dopo si materializza nella sua stanza in boxer attillati per ucciderla senza che ci sia ragione logica. Ma di incongruenze la pellicola è tappezzata: una ragazza va in bagno a fare i suoi bisogni senza togliersi i jeans, la protagonista attraversa un sentiero di impiccati che muovono palesemente le mani pur essendo morti, dopo un omicidio in piena lezione gli altri studenti si fanno i fatti loro. E' un continuo di scemenze infarcite da dialoghi stupidissimi, di velleità da regista che Hamilton vorrebbe avere e non ha, di zoomate senza senso, di combattimenti di karate coreografati come una recita delle elementari. Non si sa se ridere o se piangere, ma ci si chiede soprattutto come diavolo fa la Mediafilm a distribuire film tanto brutti? Ma fallisse una buona volta per tutte o assumesse gente capace con almeno un minimo senso critico per la scelta dei film. Fastidiosamente dilettantesco.
di Andrea Lanza

Friday, August 22, 2008

Jolly Roger di Gary Jones (2005)



Quante speranze tradite, quanta delusione nell'accingerci alla faticosa visione di questo “Jolly Roger”. Gary Jones anni fa era un nome promettente negli effetti speciali, il suo apporto più significativo è stato per “L'armata delle tenebre” di Sam Raimi, ma poi si è perso nella velleità di una carriera da regista che appagasse sia il suo ego autoriale che un certo gusto per il make up truculento. Di Jones abbiamo visto i pessimi “Spiders” e “Crocodille 2”, ma qui si è toccato il fondo del fondo del fondo. Difficile poter fare di peggio, difficile sbaragliare con un solo film i vari Decoteau, Uwe Boll o Albert Pyun nel ruolo tragico ed elisabettiano di “peggior regista vivente”. Si perchè le chiappe di giovani maschi al sole del caro David frocetton o i deliri al Bullet time del regista di “Postal” sono nulla al confronto di questa sciagurata vicenda di pirati e vendette secolari. Produce l'Asylum, casa sì specializzata in pessimi ripoff di film famosi, ma anche di un capolavoro come “King of the ants” di Stuart Gordon, quindi un minimo di barlume di speranza che stavolta “Jolly Roger” potesse essere un horror decente ci poteva stare. Ad avvalorare la tesi anche stupende scene di decapitazioni e morti sanguinanti apparse su “Fangoria”che hanno fatto godere sciagurati fan del genere come me. Ma purtroppo gli effetti speciali sono l'unica cosa salvabile di un film mal girato, peggio scritto e interpretato da attori così cagneschi da far sembrare Valeria Golino Ava Gardner. La storia defrauda impunemente “Fog” di Carpenter, ma anche “Pirati dei Caraibi” di Verbinsky, ma senza avere né la palpabile tensione del primo né la spudorata simpatia del secondo. “Jolly Roger” è uno slasher pedestre pieno zeppo di errori tecnici che potrebbero nascondere massonicamente l'odio più assoluto verso il cinema. Che dire di una telecamera di sorveglianza che trasmette immagini montate cinematograficamente? O di una ragazza picchiata e lasciata esanime un secondo prima che appare magicamente intonsa davanti al nostro pirata come se nulla fosse? O di una stazione di polizia che è in realtà un appartamento di un Motel? O di uno scrigno un'immagine prima colmo di teste umane di plastica e l'altra vuoto? Sono cose un po' alla Ed Wood solo che i film di Wood erano per lo meno divertenti nella loro cialtroneria. Questo “Jolly roger” invece è noioso fino al parossismo, sciatto come una telenovelas trasmessa su “Mai dire tv”, girato televisivamente senza un minimo di guizzo. Non fatevi ingannare da due belle tette ballonzolanti e un po' di discreto splatter: “Jolly roger” è il corrispettivo con due lire in più di una recita scolastica. Solo per masochisti.
di Andrea Lanza

Thursday, August 14, 2008

House of Blood (2007) di Olaf Ittenbach

Vedere “House of blood” è un po' tornare bambini con videocassette spuzze, logore che sanno di un tempo purtroppo ormai passato. Ricordo le nottate a sedici anni da solo o con amici a vedere robe immonde come “I ragazzi del cimitero” o “Spookies” o ancora la spazzatura della spazzatura, filmacci sotto label come “Eureka”, “Antoniana”, cose che mai sotto tortura oggi guarderesti. Eppure allora ci si esaltava con poco, i parametri di bello e brutto erano azzerati, te ne fregavi se un regista girava un horror nel giardino di casa e lo chiamava Amazzonia, non ti sentivi preso per scemo, semplicemente accettavi anche l'inaccettabile. Erano gli anni che magari rubavi la videocamera di tuo padre o di tuo zio e ti cimentavi tra zoom selvaggi e succo d'amarena a credere di essere Fulci o Romero, poi magari la tua pseudo troupe non si presentava e grazie a Dio non finivi il tuo insulto al Dio del cinema. “House of blood” è quel film che da ragazzino non hai terminato, è la videocassetta che avresti potuto vedere da adolescente assetato di film, è l'incubo più nero di ogni critico che si autodefinisce esteta. E proprio per questo suo essere oltre, oltre il buon gusto, oltre la più giusta delle logiche, posizionandosi fuori dal mondo, “House of blood” è un capolavoro come non se ne vedono da anni. Cioè tutto è sbagliato, dalla scelta della videocamera, una pessima dvd cam forse, agli attori ridicoli che sono comici quando fanno i duri, ai dialoghi tremendi che vogliono unire frasi cazzute ad altre di più aulico pensiero. Poi si dirà, ma il livello di figame sarà almeno alto, cioè deve esserlo per forza per rifarsi gli occhi davanti a qualche sciagurata starlette dalle tette grosse e la passera sbarazzina attratta dalle vane promesse di gloria del regista. Invece no, poche ragazze, vestitissime, anzi una mi sembra di aver letto si sia persino fatta cucire la maglietta sulla pelle per non destare alcuno scandalo, e quella che interagisce col resto del cast è pure un cesso mica male che si scopre essere nientepocodimeno che la moglie di Ittenbach, il genio autore di “House of blood”. Allora, mi direte voi dove, diavolo è il capolavoro? Ci arrivo, ci arrivo, miei cari. Per cominciare tecnicamente il film è incredibile, girato con un budget tipo le mille lire delle Elementari per un succo di frutta e la focaccina, ha però la dignità di una grossa produzione. Ittenbach fa cose folli con quei tre soldi, muove la telecamera sopra tetti, osa persino carrellate, nobilita combattimenti tra uomini e demoni con rallenti o soggettive di proiettili perforanti. Mica male dico io ora. Poi cazzarola lo splatter è estremo e ben fatto, gli attori mutano in un batter d'occhio in demoni e, come “Dal tramonto all'alba”, il poliziesco diventa horror e giù di facce ridotte in poltiglie, di teste aperte come un melone, di operazioni ai testicoli con dovizia di particolari, di arti amputati. Chi più ne ha più ne metta. Poi fattore di cazzata non indifferentemente divertente è che questi mostri saltano come acrobati da circo e picchiano come karatechi. Applauso a scena aperta senza dubbio. “House of blood” è una giostra malferma, un luna park scalcinato che risulta alla fine più divertente di Gardaland. Qui urge un appello: scriviamo a qualche produttore di Hollywood, la smettessero di assoldare dei cagariso per scadenti remake di film orientali, diamo qualche soldo a Ittenbach, veterano della scuola horror fai da te anni 90, per girare un film degno delle sue potenzialità. Altro che Rodriguez verrebbe fuori, sarebbe una bomba pronta ad esplodere. Ma per l'amor di Dio non facciamogli scrivere una sceneggiatura!
di Andrea Lanza

Thursday, August 07, 2008

Lake dead di George Bessudo (2007)


Gli “8 films to die” quest’anno, rispetto all’anno scorso, sono stati sicuramente migliori: abbiamo avuto, tra i più meritevoli, un film ad un passo dal capolavoro, “Le morti di Ian Stone”, una bella e cupa ghost story, “Crazy eight”, un torture movie da leccarsi i baffi e muovere invidia a Eli Roth, “Borderland”. Purtroppo non è il caso di questo “Lake dead”, operina esile esile girata dall’inesperto, George Bessudo con un cast di attorucoli dall’aria frastornata e la recitazione zoppicante. Per non parlare poi della sceneggiatura che ricicla come un pessimo minestrone tutti i clichè del genere slasher senza avere né la capacità né la voglia di provare strade nuove. Di perle di demenza il film né è costellato a cominciare dalla scena che mostra la scaltra protagonista, inseguita da una famiglia di pazzi assassini, cadere per via di una storta e riposarsi ben trenta minuti. E’ bene dire che la stessa protagonista intervallerà corse pedestri degne di un atleta ad altri momenti dove lamenterà un dolore incredibile alla gamba ferita (che non ho controllato, ma non mi stupirei se cambiasse da una sequenza all’altra). Sul piano della violenza il film conta qualche scena forte (una picconata in faccia o la trapanazione delle caviglie), ma senza riuscire a conferire all’opera un’aria malata che il genere da “Venerdì 13” richiede sempre. Qualche timido innesto di erotismo e morbosità (il sesso campestre o il bacio appassionato di un figlio alla madre) non bastano a salvare un film che definire disastroso è un complimento.
di Andrea Lanza

Tuesday, July 22, 2008

Scherzo letale (April's fool day) di The Butcher Brothers


Mesi fa avevamo recensito con un certo gusto l’interessante film dei Butcher Brothers (che tra l’altro non sono fratelli), “The Hamiltons”, pauperistica, ma non disprezzabile opera horror sulla disgregazione familiare. Quindi nell’accingerci a questo ennesimo remake di un classico del cinema slasher, “Pesce d’aprile” di Walton, lo abbiamo fatto con le più belle premesse avvalorate dall’idea dei due finti fratelli registi alle prese con un budget questa volta decente. “Scherzo letale” (questo il nuovo titolo italiano) inizia davvero bene, forse troppo, con queste carrellate da grande opera hollywoodiana, ma subito si esaurisce con una messa in scena degli omicidi esangue, imbelle, banale, e con uno sviluppo della storia originale francamente patetica. Se il vecchio film di Walton risultava riuscito per la sua aria stralunata da proto “scream” che analizzava, parodizzava, metteva alla berlina i limiti e le regole sotterranee del genere slasher, “Scherzo letale” non fa questo, ma arranca come un condannato a morte verso il colpo di scena finale che si vorrebbe travolgente e imprevedibile, ma invece risulta eccitante come lo è per una moglie un marito addormentato davanti alla tv. Il reparto attori è imbarazzante, con queste facce da culo d’interpreti che non sanno se stanno recitando Shakespeare o la pubblicità del panettone Melegatti, che possiedono la profondità di immedesimazione del personaggio pari a quella che avrebbe una mangusta del Nicaragua se per mestiere dovesse interpretare un horror. Dispiace per la bellezza mal utilizzata di Taylor Cole, improponibile come attrice, ma meritevole di ben altri film capaci di sfruttare in maniera più costruttiva i doni che madre natura ha dato a questa ragazza. Suggerirei un bel film hard di Michael Ninn. Meno male che Dio ha voluto che questo abominio uscisse solo in Italia per il mercato dvd. Da dimenticare in fretta senza tanti problemi.
di Andrea Lanza