Sunday, May 28, 2006

TORRENTE 3:EL PROTECTOR

Torna José Luis Torrente,il lurido detective privato spagnolo portato con successo sugli schermi da Santiago Segura,già
attore feticcio di Alex De La Iglesia. Il personaggio,che non è mai arrivato da noi in Italia,in spagna è una vera e propria
istituzione facendo registrare i tutto esaurito al botteghino e creando diversi fenomeni paralleli come videogiochi,fumetti ed
action figures. Stavolta Torrente diventa la guardia del corpo di Giannina Ricci(Yvonne Scio),una eurodeputata ecologista
che mette i bastoni tra le ruote ad una potente multinazionale Petronosa a capo del gangster Montellini(Fabio Testi)che vuole farla fuori. Torrente addrestrerà un gruppo dimentecati per difendere l'incolumità della donna sperando di penetrare nel cuore della donna o almeno di concludere. Segura rispolvera una serie di comportamenti animaleschi tipici del suo personaggio dedito al bere,alla volgarità ed al sesso promiscuo(scena top quando trova la tossica addormentata sul divano). La fisicità e bravura di Segura e comprovata da tempo e per il terzo capito si è voluto creare qualcosa di esagerato. Quindi Torrente 3,rispetto agli altri, più blockbuster e contiene scene assurde di azione,esplosioni,combattimenti e fuochi d'artificio q parodia del genere action americano.Tutto condito dalle scorregge di Torrente che,se tanto mi da tanto,è figlio della commedia italiana di Bruno Corbucci,Nando Cicero e similaria. Infatti se la fisicità di Torrente ricorda moltissimo Lino Banfi nel periodo verde,i suoi comportamenti orribili possono ricondurre all'ultimo Monnezza,quel Tomas Milian delle Squadre Antitutto. Segura aggiunge una regia spettacolare volutamente esagerando sugli effetti pirotecnici. A condire il tutto una serie di cameo di vari personaggi televisivi spagnoli ma anche star americane come John Landis e Oliver Stone. Alal fine TOrrente riesce a far danni anche alla casa bianca ma chissà se sarà l'ultimo capitolo.Forse sarebbe meglio così perchè il personaggio potrebbe saturarsi troppo.

di Gianluigi Perrone

Friday, May 26, 2006

CITY OF LOST SOULS

Un aitante brasiliano in Giappone con una affascinante ragazza del luogono in fuga dalla polizia da ché lui l’ha rocambolescamente fatta evadere da un pullman di un penitenziario. Il suo arrivo in elicottero e l’uccisione delle guardie è una scena esagerata, volontariamente quasi pacchiana, e la sua mano tesa verso di lei come a dire “Vieni con me piccola” anticipa tutto l’essere sopra le righe del film.
Miike confeziona un film insolito e curioso. Vediamo la comunità Brasiliana a Tokyo stereotipatamene caratterizzata dall’amore per il calcio, il calcio vincente. Il protagonista schiva quasi i proiettili e nelle sparatorie è abile come fosse un giocatore della sua nazionale. La Yakuza non poteva non esserci, ma è eccessiva, quasi videoludica, portata all’estremo fino ad essere parodia di se stessa. Il tema dell’ organizzazione criminale per eccellenza del sol levante in Miike è più che ricorrente fin dagli esordi. Vediamo scimmiottare anche l’effetto tanto caro a MATRIX e cloni vari. Lo spettacolo visivo del bullet time è ironicamente ridotto a siparietto in un combattimento tra galli, il tutto girato in animazione da cartoni animati della mattina, quelli che si vedono facendo colazione. Le storie si intrecciano e le gang Yakuza sono più di una. Il Brasiliano è impassibile e sa quello che vuole, sembra impossibile che non possa ottenerlo perché ha le doti giuste. Come in una partita di calcio dribbla tutti e l’area avversaria è il suo terreno di gioco. Girato in maniera quasi confusionaria riduce le peculiarità che rendono grande il regista a poco più di un paio di sequenze. Il film sembra girato con leggerezza, per sfogo, senza premere l’acceleratore in nessun senso. Sortisce comunque il suo effetto satirico e non si può dire che non abbia un tocco di originalità soprattutto per il curioso binomio Giappone-Brasile.

di Davide Casale

Tuesday, May 23, 2006

L'UOMO VENUTO DALLA PIOGGIA

René Clemént è raffinitissimo tessitore di trame noir dall'aspetto surreale e provocatorio come riconfermerà in Delitto in Pieno Sole,Crisantemi per un Delitto e Unico indizio: una sciarpa gialla. Già dai primi minuti di film,introdotti da una citazione da Alice Nel Paese delle Meraviglie,Clemént mette il veto sulle sue intenzioni di divagare su terreni astratti e sconosciuti. L'uomo venuto dalla pioggia del titolo non è il protagonista Charles Bronson come si potrebbe supporre ma uno scuro passeggero che arriva in autobus in una cittadina della costa della Francia. Completamente zuppo sembra essere interessato solo ad una borsa rossa che stringe a sè. Ma mettiamolo da parte. Ora c'è Mellie,diminutivo di Melancholie,che si prepara civettuosa per il ritorno del marito,ufficiale euronavale,che sta per raggiungerla dopo una lunga assenza. Le strade dell'uomo misterioso e della donna si incroceranno quando questi si intrufolerà in casa sua per violentarla. Sconvolta,Mellie inizialmente pensa di avvisare la polizia ma il suo passato d'infanzia la blocca in un omertoso silenzio. Quando la donna si accorgerà che il suo carnefice è ancora in casa non avrà esitazione a prenderlo a fucilate e infine schiacciarli il cranio con un remo. Liberatasi del corpo Mellie tiene il suo segreto sicura di averla fatta franca ma un giorno compare un'altro uomo misterioso(Bronson)che sa tutto e che vuole da lei qualcosa di ancora non specificato. La donna negherà sempre imperterrita il suo coinvolgimento ma ora il loro rapporto si evolverà in sentieri inaspettati. La crudezza della prima parte del film,in cui vediamo la distruzione dell'anima di Mellie,una bravissima Marlène Jobert,abbandonata nuda con addosso solo la calza portata sul volto dal suo violentatore,si tinge di giallo dal momento in cui compare l'incognita Charles Bronson che darà vita ad una quantità notevole di colpi di scena. Sembra che il trauma che rode Melliè,che ha radici ben precedenti alla violenza subita(il nome Melancolia non è un caso)venga metabolizzato e muti da quando la donna si trova avvinghiata nella più classica struttura del noir. Talmente classica che nel finale sarà ironicamente McGuffin,ilt trucco che svela tutto come lo definiva Hitchcock, il nome di chi svela gli arcani. Misteri che rimangono tali per alcuni,che vengono svelati allo spettatore ma non a chi li vive e che creano un rondò di piroette basato sulle bugie. Sono le bugie il motore de L'Uomo Venuto dalla Pioggia. Mente Mellie all'antipatico
marito che non merita di sapere chi è la moglie,mente lei fino a negare l'evidenza davanti al delitto perpetrato e mente il colonnello Dobbs(Bronson con un nome da cocktail)che inebria di menzogne la protagonista per condurla dove lei furba ma fragile,non riesce e non vuole arrivare. Quando i nodi si sciolgono non importa più nulla se non l'espiazione dei vecchi peccati e delle sopite memorie.

di Gianluigi Perrone

Monday, May 22, 2006

TELEFON

La sola idea di veder lavorare Don Siegel con Charles Bronson avrebbe fatto tremare i polsi a gente di ben tosta pellaccia. Il
regista che,tra le altre,avrebbe contribuito a plasmare,insieme a Sergio Leone,una delle figure più idolatrate nonchè uno dei
registi più significativi a cavallo del secondo millennio. Naturalmente si parla di Clint Eastwood che con Siegel ebbe non solo una forte amicizia ed una assidua collaborazione ma un rapporto da lui definito di apprendistato che ben più di quello nei
Western della trilogia del dollaro,formerà gli stilemi del suo cinema. Era quindi nella natura delle cose che dopo la saga
dell'ispettore Callaghan,Siegel lavorasse "l'altro" giustiziere per eccellenza,la figura brulla e imperscrutabile di Charles
Bronson. E la sorpresa sta proprio nella pellicola,l'unica insieme, che li vide nei titoli insieme. Telefon infatti è un esperimento
singolare di fantapolitica,più inedito per Bronson che per Siegel che aveva già all'attivo un capolavoro come L'Invasione
degli Ultracorpi.Bronson interpreta il Maggiore Grigori Borzov,dei servizi segreti russi. L'agente del KGB viene informato di una diabolica macchinazione da parte del governo russo durante la guerra fredda. Una seire di agenti scelti in qualità di kamikaze sono stati privati della propria personalità mediante un lavaggio del cervello,sono stati sitruiti per credere di essere cittadini americani dopo essere stati addestrati a compiere atti suicidi di terrorismo,sono stati "disattivati" e messi a vivere normalmente negli States. Il piano era di poterli attivare,in caso di bisogno,per telefono(da qui il titolo) pronunciando una frase specifica. L'accordo di non belligeranza tra URSS e USA aveva portato le autorità del KGB a far vivere tranquilli i
kamikaze,che qui vengono chiamati "sleepers" per il loro stato di stasi mentale come se nulla fosse. Qualcuno però,che evidentemente conosce il segreto,sta attivando gli "sleepers" causando degli apparentemente inspiegabili atti di distruzione. Il Maggiore Borzov viene mandato a scoprire l'intrigo con ogni mezzo,affiancato controvoglia da un'avvenente agente della
CIA. Il film che Siegel trae dalla novella di Walter Wager sembra sospeso in uno stato ipnotico come quello degli "sleeper". L'aria che permea il film è invernale e misteriosa,tipica da spy-story della cortina di ferro e riesce a catturare sin dai primissimi minuti,anche grazie alla stupenda colonna sonora di Robert Frost. Don Siegel atttraverso il tema del meta-spionaggio riesce
a delineare lo stato d'animo che c'era tra le due nazioni durante la guerra fredda,quando la pace era legata a equilibri sconosciuti alle masse e vertiginosamente instabili. Ottima prova di attori sia per Bronson che sperimenta un ruolo insolito che per Donald Pleasance che caratterizza perfettamente il suo personaggio. Da riscoprire.

di Gianluigi Perrone

Sunday, May 21, 2006

DUE SPORCHE CAROGNE

La prima volta insieme per Alain Delon e Charles Bronson non poteva essere più amena. Il film d'esordio di Jean Herman,in seguito passato alla letteratura come giallista,è un finissimo esempio di noir francese di rara eleganza. Franz Propp,americano,e Dino Barran,francese,hanno prestato entrambi servizio nella Legione Straniera,come mercenario il primo,in qualità di medico il secondo. Entrambi cinici,ideologicamente disonesti e disincantati,tornati in Francia,dividono le proprie strade per l'evidente incompatibilità caratteriale. Difatti se Dino è freddo e meditativo,Franz è il tipio browler fracassone. Nell'impossibilità ed incapacità di trovarsi da vivere onestamente,quest'ultimo comincerà a girare i circoli
perversi della città procurandosi denaro nelle maniere meno lecite. Intanto Dino si impelaga in uno strano affaire per via di un fattaccio che lo mette in condizioni di debito morale verso alcune persone. Fattosi assumere in un ufficio,deve riportare dei documenti in una cassaforte di cui conosce solo 3 delle 7 cifre della combinazione. Quando il destino lo riunirà a Franz,anche lui interessato al contenuto della cassaforte,la loro forzata convivenza diventerà causa di stravolgimenti inaspettati. In quel turbine di figure oscure che vivono nel tipico noir francese,Adieu L'ami ritrae il codice d'onore che vige tra i criminali,nonostante gli odi e i contrasti di interesse. Herman tratteggia benissimo il sordido sottobosco dove si muovono i
personaggi,corrotti e corrompenti,raggiungendo il climax nella scena in cui Bronson vende la sua donna "con il cuore vuoto" ad un ricco pervertito che la vuole letteralmente come "bambola". I contrasdti tra i due protagonisti ritraggono la più classica delle situazioni in cui due individui diversi per estrazione ma simili per ideologie portano le proprie personalità a scontrarsi
fino a fondersi nel momento in cui si ritrovano prigionieri degli eventi. Misogino e cattivo,la pellicola risolve nel finale tutti i misteri del caso dimostrando come sia chi non fa parte del gioco dei bassifondi ad essere amorale e che davanti alla possibilità di scegliere,un uomo d'onore,per quanto canaglia,rimane fedele e sincero nell'addio al proprio amico.

di Gianluigi Perrone

SOLE ROSSO

Non che Sole Rosso sia un brutto film.Anzi l'ironia surreale che permea durante tutta la visione lo rende spesso spassoso.
Però ci si aspettava di più da un cast e soprattutto una trama che faceva sperare al cult sin da subito. L'ambasciatore del Giappone attraversa il selvaggio West con dei doni pacificatori per il Presidente degli Stati Uniti. Il treno su cui viaggia viene assaltato da un gruppo di banditi che fanno una carneficina durante la quale viene ucciso anche uno dei samurai
dell'ambasciatore. Uno dei banditi,Gauche(mancino in francese)americanizzato in Gotch trradisce il compare più anziano,Link Stuart e,credendolo morto,scappa col bottino. Link si metterà alla caccia di Gotch e dei suoi soldi ma gli verrà appresso il samurai Kuroda,desideroso di avere la sua vendetta sul bandito francese.
Una sceneggiatura così assurda,pepata di umorismo,erotismo e azione non poteva sperare in interpreti migliori che Charles Bronson e Toshiro Mifune,frizzante coppia slapstick per tutto il film,e un villain d'eccezione,Alain Delon,con il faro sugli occhi
per tutte le riprese. Se i duetti tra Bronson,in forma come non mai,e Mifune sono sicuramente la parte più divertente dell'affare,di meno lo sono i cali di ritmo che spesso ne discordano il ritmo. Spesso l'azione è interrotta da momenti morti e
non si capisce dove il regista voglia andare a parare. Terence Young,che si è fatto un nome con un paio di 007 passati alla storia(Dalla Russia con Amore e Thunderball),non ha la mano altrettanto ferma in questa produzione internazionale che vede Italia,Francia e Spagna in produzione,un regista inglese ed attori americani e giapponesi all'opera. Il tutto non diventa un
pastrocchio grazie all'autoironia dello script che non pretende di prendersi troppo sul serio ed a alcune scene piccanti con Ursula Andress e Capucine. Sole Rosso diverte ma non riesce mai a essere memorabile,nonostante ne avesse tutte le potenzialità.

di Gianluigi Perrone

IO NON CREDO A NESSUNO

Curiosa operazione questo Breakheart Pass che ha nell'interpretazione di Charles Bronson la sua aminità più evidente. Difatti sarebbe interessante capire come mai scelsero un attore della sua fisicità e con una storia di ruoli di un certo tipo per una pellicola che guantava sicuramente ad un Alec Guinness o ad un Peter O'Toole. Tratto da un romanzo giallo di Alaister
McLean,il film,di ambientazione western,si incentra sull'indagine di John Deakin su una serie di morti misteriose occorse su un
treno lungo la tratta attraverso le Montagne Rocciose. L'uomo,inizialmente spacciatosi per un baro ed arrestato,in realtà è un agente cheintende smascherare una serie di trame su un traffico d'armi ordite da un Governatore corrotto(Richard Crenna,il colonnello Trautman di Rambo). Classica struttura "alla Dieci Piccoli Indiani" con il politico,lo sceriffo,il prete,il dottore e la bella di turno come principali indiziati,il film si sussegue con una serie di colpi di scena e qualche scena d'azione ben girata
come il combattimento sul tetto del treno e l'ecatombe della maggior parte dei soldati nel crollo del vagone,anche se un pò
forzata.Purtroppo la regia un pò troppo piatta di Tom Gries procura qualche sbadiglio. Interessante vedere Bronson in una prova d'attore stimolante e ben lontana dai suoi canoni. Simpatico cameo di Archie Moore,allora stranoto campione di
pugilato categoria mediomassimi.

di Gianluigi Perrone

CHATO

Probabilmente è Michael Winner ad aver valorizzato al meglio la figura di Charles Bronson. Al di là della serie del Giustiziere
della Notte,il regista londinese(ma trapiantato perfettamente negli States)contribuì già con Chato's Land a creare il mito di
macchina di morte che sarà l'ex-minatore della Pennsylvania Charles Buchinski. Probabilmente Chato è un'opera meno
complessa e riuscita del precedente Io sono la Legge(Lawman con Burt Lancaster)ma si viaggia comunque ad altezze
vertiginose. Senza preamboli il film si apre col l'eliminazione di un bieco razzista che va a rompere le uova nel paniere al
pellerossa Apache Pardon Chato. L'uomo si difende e di conseguenza viene braccato da un gruppo di gringos con la fregola di impiccare l'indiano. Sì,perchè l'uomo ucciso è lo sceriffo. A capo del Capitabo Quincey Whitmore(un fantastico Jack Palance),il gruppo di vendicatori sanguinari si lancia in una feroce caccia all'uomo. Ma Chato è più duro di chiunque altro. Il gruppo di allegri razzisti finirà presto di ridere.
Chato è la calma,meditazione ed astuzia contro la violenza,l'idiozia e la stupidità. I cowboy al suo seguito sono mossi dall'odio,dal desiderio di linciaggio o da un confuso sentimento di giustizia che in molti creerà più di un ripensamento. Non hanno remore a violentare la donna di Chato ed a bruciare un suo compagno indiano. Non riescono ad andare d'accordo neanche tra di loro perchè non sono coscienti delle proprie esistente,della propria vita e di ciò che li muove.E come iene impazzite si sbranano tra di loro,ormai dimentichi del motivo che muove la loro mano La loro ferocia è dettata solo da un inaudito senso di cieca xenofobia espletato continuamente con frasi del più basso tenore. "Accoppia un cane con un lupo ed avrai una bestia assassina." Solo Quincey,esperto di cultura indiana,compie la ricerca da outsider,perchè non è capace di
"vivere come uno qualunque" e vive l'avventura con rispetto verso il suo avversario.
Ovviamente inquadrature da perdere il fiato e movimenti di macchina da orgasmo in mezzo alle terre brulle dove Chato intrappolerà i suoi aguzzini.C'era il Vietnam allora e la coscienza della guerra era similmente opaca a quella del film. In questa maniera l'America guardava a se stessa.

di Gianluigi Perrone

HEAVEN'S SOLDIERS

Basterebbe anche solo il valore storico-culturale della trama per decretare un giudizio positivo nei confronti di questo
Heaven's Soldiers(Cheong Gun in originale),opera prima di Min Joon-ki ed ennesima riprova della egemonia tecnica della cinematografia Sud Koreana. Difatti la vicenda ci porta a riflettere sulla stragrande maggioranza di eventi bellici che hanno fatto la storia delle due Koree,dall'invasione Giapponese strenuemente affrontata da uno sparuto manipolo di soldati che,con uno scarto di uno a cento,riuscirono a mantenere libera la propria nazione,fino agli ancora attuali dissensi tra Nord Korea Comunista e Sud Korea repubblicana. Difatti siamo ai giorni nostri quando le due Koree stanno trovando un patto di non belligeranza rinunciando agli armamenti nucleari. Questo,oltre che dare rabbia agli States che,come il regista tiene a sottolineare,sono interessati al fatto che le due nazioni non si riuniscono,infastidisce anche l'ala più oltransista del regime comunista nordcoreano,qui rappresentato dall'ufficiale Kang Min Gil(Kim Seung Woo),che con uno sparuto gruppo di
reazionari deciderà di fare il colpaccio rubando la testata atomica. Il piano va quasi in porto se non fosse che vengono inseguiti da una task force sudcoreana a testa dell'ufficiale Park Jeong Woo (Hwang Jung Min,già visto in A Bittersweet
Life)che imbastirà un'incontro a fuoco mentre da lì passa una cometa dal ciclo cinquecentennale. Ovviamente la matrice fantascientifica del film vuole che gli effetti siano quanto più incredibili possibile tant'è che i sopravvissuti si ritrovano nella Korea del Sedicesimo secolo in mezzo alle orde barbare che massacrano i contadini dei villaggi. La pellicola a questo punto non può non ricordare l'effetto che fa l'inizio de L'Armata delle Tenebre con gli stessi retroscena comici che aveva Bruce Campbell verso i guerrieri medioevali. Infatti Min ha tutto l'interesse a tenere un buon equilibrio di azione e vis comica in questa prima parte che contiene un numero considerevole di divertentissime gag. La svolta comincerà ad arrivare nel momento in cui entra in scena Yi Sun Shin (Park Joong Hoon),sorta di Garibaldi Koreano tanto da comparire sulle
monete,esistito veramente e divenuto leggendario perchè divenuto ammiraglio a capo della flotta che difese coraggiosamente la Korea difronte all'invasione dei Giapponesi. Questo incontro inizialmente galvanizzerà i soldati del 21esimo secolo per poi ridimensionare la propria emozione nel momento di scoprire che l'ufficiale è un povero imbranato. I soldati cercheranno di donare dignità e coraggio al futuro ammiraglio,realizzando che i contrasti tra le due fazioni sono inutili e
cominciando a combattere sotto un'unica bandiera,contro i barbari,coraggiosamente fino alla morte. Nonostante Heaven's Soldiers sia un blockbuster dalla trama abbastanza prevedibile,stupisce la perizia tecnica di Min e soprattutto la sua sapiente capacità di saper dosare ironia,azione,sentimento e comicità. Il film passa con disinvoltura da momenti di comicità anche pecoreccia a un sincero patriottismo forse un pò retorico ma efficace. Pescando a piene mani da cult americani sui paradossi spazio-temporali(il già citato L'Armata delle Tenebre,la saga di Ritorno al Futuro etc.),Heaven's Soldiers riesce a diventare anche una meditata visione sui contrasti che tutt'oggi(forse ancora per poco)infiammano il 38° parallelo. Ovviamente non
siamo ai livelli di un Joint Security Area che prendeva l'argomento molto più seriamente e rivelava in Park mire ben più alte del mero successo commerciale,ma arriva alle stesse conclusioni:la Korea è un unico stato e i contrasti tra gli eserciti si fondano sul nulla se rapportati al coraggio dei guerrieri che la resero libera e che l'avrebbero voluta unita. Retorico ma sicuramente vero.

di Gianluigi Perrone

Saturday, May 20, 2006

SPIDER

La mamma chiamava il piccolo Dennis,Spider,come quei ragnetti che,quand'era bambina,tessevano la tela della propria vita
per poi andarsene in silenzio.Spider voleva molto bene alla mamma ed anche a lui piaceva tessere tele quando non era
felice,quando il suo papà era arrabbiato con la mamma,quando la sua giovane mente cominciava a sgratolarsi sotto il peso
della disperazione. Quando Spider comincerà ad incamminarsi lungo quel lurido tunnel dove si consumano sordidi amplessi
verso il gorgo della follia perderà ogni sua memoria frammentandola in migliaia di foglietti scritti fitti e disordinati,dove nasconde la verità sulla sua esistenza.E nei suoi bisbigli cerca di tornare indietro,di privarsi dei suoi mille strati,di ricomporre il proprio trauma e se stesso grattando via l'opaco alone di menzogna che lo ha forzato ad abbandonare la realtà.
Dalla novella di Patrick McGrath,David Cronenberg ripresenta il tema della mutazione questa volta analizzando la frammentazione della personalità umana. In una Londra fumosa,sudicia ed intimamente kafkiana,si aggira un ispiratissimo Ralph Fiennes che mugugna frasi inintellegibili,una analisi della schizofrenia praticamente perfetta. Dai fogli del suo confuso diario ci riportiamo alla sua infanzia dove ci viene mostrata la crisi coniugale del padre(Gabriel Byrne) diviso tra la moglie e una volgare prostituta dai denti marci. Notevolissima anche la prova di Miranda Richardson che interpreta tre ruoli diversi a disegnare la confusione dissociativa di Spider. Cronenberg riporta spessissimo la figura del mosaico,del puzzle che a poco a poco si riforma svelando retroscena inquietanti. Dopo la fase iniziale che ci introduce nella quotidianità di Spider e nel suo passato il film si trasporta verso i lidi del giallo cercando di dare una risposta già ovvia al segreto di Spider,prigioniero della sua mente.

di Gianluigi Perrone

Thursday, May 18, 2006

LEI MI ODIA

Sarebbe veramente interessante poter aprire con un cavatappi la testa di Spike Lee,farci un buchino e sbirciare dentro.
Probabilmente si scoprirebbero un sacco di cose istruttive e soprattutto si avrebbero risposte a molte domande come il
perchè alterni in maniera così asimmetrica lavori di una certa forma o spessore con commedie sbiadite come questo She Hate Me. Intendiamoci,lo stile è il suo al 100% e seguendo brevemente la trama non ci sarebbero dubbi a riconoscere che è farina del suo sacco. Come in ogni suo film si sofferma sul problema razziale(ma non starà esagerando?),sulla omogeneità delle culture a New York,sulla inarrestabile invasione del consumismo,sullo strapotere del denaro,sulla critica sociale e soprattutto politica. Però voglio dire:chi se ne frega?
I titoli di testa,carini ma banali,con una banconota da tre dollari con la faccia di Bush,falsa e inutile come chi la rappresenta,ci introducono alle vicende di Jack Armstrong(Anthony Mackie),il super-protagonista di colore di turno,bello,bravo,ricco,superdotato(condizione necessaria eh!)ed assolutamente irreprensibile nei suoi valori. L'orribile casa farmaceutica in questione(di quelle foraggiate dai Bush e dal governo repubblicano),la Progeia,sta ultimando un vaccino

contro l'aids(praticamente miliardi di miliardi)ma senza aver fatto i dovuti accertamenti tanto da causare il suicidio di uno scienziato e la ribellione di Jack. Questi informa le autorità ma invece di venire premiato viene annientato. Infatti il suo capo Leland Powell(un malaticcio Woody Harrelson)e la cinica,bianca,bionda,collega wasp Margo,un personaggio ricorrente nei
film di Lee,interpretata egregiamente da Ellen Barkin,non solo lo licenziano ma gli prosciugano tutti i fondi e fanno sì che non possa lavorare da nessuna altra parte,accusandolo delle magagna della società. In pratica il culo nero di Jack,abituato ai lussi più sfrenati,è precipitosamente crollato a terra. Lee,con l'evoluzione ed emancipazione della sua carriera,ha accentrato
notevolmente il suo interessa sullo strapotere delle lobby e sui meccanismi interni che le governano. Oramai non c'è film in cui non si punti il microscopico sul metabolismo di un "potere forte" d'America,sia esso i media(Bamboozled),la Borsa(the 25th Hour),le Banche(Inside Man)o le industrie farmaceutiche come in questo caso.
Ovviamente Jack,essendo il più fico di tutti,aveva una ragazza strafica che ha deciso di passare dall'altra sponda non senza mantenere un istinto materno. La ex,interpretata da Kerry Washington tanto per aumentare il carnet di donne bellissime interpreti dei film di Lee,lo convince a dare il proprio seme per la modica cifra di 10.000 dollari a botta. Da qui Jack metterà su un vero e proprio businness con tour de force da 5 inseminazioni a notte. Ci viene mostrato come un poveretto,un uomo distrutto e umiliato dalal necessità di vendere il proprio corpo per potersi permettere la Jacuzi. Se voleva essere una critica al consumismo forzato però non era certo chiarissima visto che uno pagato profumatamente per impalmare decine di donne
stupende è difficile che possa passare da vittima.
Tra queste strappone c'è anche la Bellucci in una delle sue peggiori interpretazioni. Non solo per colpa sua,sia chiaro. Il personaggio dell'italiana che vuole essere messa incinta(da un nero!!!)per salvare l'onore è a dir poco surreale. Tal quale il povero John Turturro prestatosi a fare un boss(e un padre cronologicamente impossibile della Bellucci)a cui manca solo il mandolino per essere l'ultima squallida parodia dell'italiano immigrato. Mi chiedo se Spike Lee conosca veramente italoamericani del genere,perchè sarebbe interessante studiarli. Purtroppo questa grottesca immersione in Goodfellas non fa altro che far affondare ancora più in giù una sceneggiatura macchinosa e piena di nonsense imbarazzanti.
Quel che definitivamente manca a She Hates Me è una coerenza narrativa che permetta di passare dal tono semi-ironico della vita del protagonista alla comunque solita,noiosa rivolta sociale contro le autorità e il potere costituito. Fino ad un finale talmente happy che ti verrebbe da bombardare i protagonisti. Sicuramente Lee ha fatto ancora una volta qualcosa di personale ed inedito che parte dai suoi spunti geniali però deve rinnovarsi con le tematiche perchè come lo si mette sulla torre per quei lavori in cui dimostra di che pasta è fatto così lo si butta giù per questi evidenti passi falsi.Ah,ovviamente c'è un mare di sesso nel film.

di Gianluigi Perrone

A MUSO DURO

Scritto dal grandissimo e ormai abusatissimo autore di New Orleans,Elmore Leonard,Mr Majestyk è sicuramente tra i migliori film interpretati da Charles Bronson,nonostante non faccia parte della serie di killer,giustizieri e sterminatori che lo hanno reso leggenda. In opere "oltre" come questa,Telefon o Breakheart Pass,la (ormai ex,purtroppo)faccia più rocciosa d'America ha dimostrato il suo valore attoriale. Qualsiasi cosa succeda,all'imperturbabile Vince Majestyk non interessa altro che finire la raccolta di cocomeri sul suo campo in tempo per tirare su quel giusto che gli serve per campare. Anche quando un insolente bulletto del luogo cerca di imporgli i propri lavoratori,Vince gli fa placidamente capire a suon di calci in culo che preferisce i suoi messicani. Putroppo il suo passato violento e i suoi modi spicci non riescono a tenerlo lontano dalle rogne con la polizia e,nonostante lui cerchi di far capire che è interessato solo ai cocomeri,è costretto a farsi un viaggetto sul pulmino degli sbirri. Purtroppo sullo stesso pulmino c'è uno dei killer più feroci della mala,Frank Renda,ai cui scagnozzi non va proprio giù l'idea di dovergli portare le arance in galera tanto da assaltare il furgone e farlo fuggire. Vince e Renda si trovano fuggiaschi insieme e quando il malvivente capisce che il nostro piantatore di cocomeri ha le palle sotto,cerca di farselo alleato per salvarsi il
culo. A Vince però non interessa mettersi nei guai,gli preme solo raccoglierei cocomeri in tempo per cui dovrà mettersi contro il boss della mala che non la prenderà bene tanto da spezzare le gambe a un suo amico e,l'errore più grave della sua vita,dare fuoco a tutti i cocomeri. A questo punto Vince non può far atro che incazzarsi e fargliela pagare a suon di fucilate.
Richard Fleischer dirige in maniera fluida e divertita,mettendo a segno una delle sue opere più valide,poggiata sapientemente sull'interpretazione estremamente minimale e cool di Bronson,Mr Majestyk è una divertentissima commedia action che si sporca di drama nel momento in cui vengono a galla tutte le aspettative infrante e le frustrazioni del protagonista. Vince è il gringo che vuol star per fatti suoi ma a cui il mondo continua a pestare i piedi,tema topico per quelli anni. L'escalation di
rabbia e vendetta è inevitabile e colpisce al muso come un autotreno. Nella parte del villain,un efficacissimo Al Lettieri,sempre tra i bastardi più gettonati del cinema seventies,già in Pulp,The Getaway e Il Padrino.

di Gianluigi Perrone

LO STRANGOLATORE DI BOSTON

Tra il Giugno del '62 e il Gennaio del '64,quando ancora il termine serial killer non era stato coniato e diffuso,Albert DeSalvo violentò ed uccise 13 donne tra i 19 e gli 85 anni,mettendo in totale panico l'opinione pubblica e la polizia di Boston,senza apparentemente rendersene contro. Richard Fleischer dirige i momenti salienti di questo fatto di cronaca,analizzando principalmente l'effetto che ebbe la scoperta di una tale morbosità sulle coscienze degli americani. Un evento del genere scoperchiò un vaso di Pandora che metteva in luce come la fredda e morigerata comunità di Boston ospitasse al suo interno un numero insospettato di pederasti,pervertiti,maniaci e psicopatici. "Figuriamoci cosa c'è a New York" chiosa un poliziotto,analizzando le sevizie dello strangolatore sul corpo di una vittima. Tra gli innumerevoli sospetti che la polizia di Boston contattò c'erano una quantità impressionante di invertiti più o meno conosciuti ma quando,per un puro caso, l'assassino si rivelò come un immemore padre di famiglia che usciva di casa a mietere morte senza pietà per poi dimenticare ogni cosa,l'America si domandò cosa,della propria società,appartenesse a quell'uomo. Nella parte iniziale,caratterizzata dalle indagini dei Detective Di Natale e Bottomly(George Kennedy e Henry Fonda),Fleischer fa un uso massiccio dello split-screen,frammentando sapientemente lo schermo ogni qual volta ci si trova a commentare i delitti ,come a voler sottolineare l'esistenza di un patchwork sia di indizi che(e soprattutto)di ricordi sepolti nella mente dell'assassino. In questo primo tempo il regista si concentra principalmente nella costruzione tecnica del montaggio e la sovrapposizione degli schermi spesso risulta perfettamente congeniale alla trama. Nel momento in cui ci dirigiamo verso la verità,il regista alza i toni e dallo spiare tra i riquadri dello schermo,ora l'esplosione di violenza degli omicidi ci è esplicitamente mostrata insieme al volto ed al vero modus operandi del killer, accompagnata da una intensa carica sessuale delle immagini. Nella seconda parte Fleischer abbandona qualsiasi virtuosismo per dedicarsi a piani più lunghi e meditati,concentrandosi sul lavoro degli attori. Quando l'interesse si sposta sull'analisi psicologica del fenomeno della schizofrenia e dello sdoppiamento di personalità dell'individuo,l'intera seconda arte della pellicola si poggia sulle spalle di Tony Curtis che,imbolsito ed emotivamente provato,dà un'ottima prova recitativa modellandosi sulla figura del vero killer seriale. Nel momento in cui DeSalvo viene accompagnato verso la consapevolezza dei propri crimini,Curtis mima su uno sfondo bianco come l'inconscio del persecutore perseguito dalla follia,i propri atti delittuosi,raggiungendo le vette più alte della sua carriera di attore. DeSalvo non sarà mai completamente incriminato per diversi vizi di forma,tanto che,all'uscita del film nel '68,l'indagine è ancora aperta.
L'uomo verrà trovato accoltellato in cella da sconosciuti,archiviando così qualsiasi dubbio ad opera di quella subgiustizia spesso in uso negli States in casi del genere.

di Gianluigi Perrone

Tuesday, May 16, 2006

BULLET BALLET di Tsukamoto Shin'ya (1998)

Dal regista di TETSUO e TOKYO FIST, un film dalla potenza visiva impressionante, movimenti di camera anfetaminici e innovativi come già in TETSUO. Un bianco e nero che fa di ogni immagine una fotografia da osservare, Poco più di un’ ora e venti minuti per una storia che sembra lei stessa dare vita la film, ricca di personaggi sopra le righe ma pregni di una densa disperazione metropolitana. La gang di rocker che si scontra con la gang di punk in una Tokyo decadente è quasi surreale nella sua crudezza. Frase di impatto che racchiude tutta la rabbia di una città, recita più o meno: “Nei sogni si uccide chi si vuole e non si viene mai presi, a Tokyo si vive un sogno”.
La colonna sonora si distingue tra lunghi silenzi che accompagnano fermi immagine e pezzi industrial post-atomici. Scene di pugilato estreme che non possono che richiamare TOKYO FIST e spezzano con le sequenze statiche in maniera improvvisa come un colpo di pistola, tema principale è appunto una pistola, il desiderio di un uomo ferito di avere un’ arma per compiere una vendetta che va più contro se stesso che contro altri. Si respirano le atmosfere di TETSUO in più punti, metallo e trasformazione del metallo sono solo accennati, non vi è fusione biomeccanica, ma Tsukamoto mantiene il suo stile di quella Generation X (l’onda cyberpunk) che lo ha reso celebre, termine che casualmente, ma fa pensare, è omonimo al gruppo di Billy Idol degli inizi e che molti anni dopo interpreterà un videoclip significativo quale “Shock to theSystem”, ispirato senza dubbio al classico del regista.


di Davide Casale

Wednesday, May 10, 2006

INSIDE MAN di Spike Lee (2006)

Il segreto sta nel "come".Come sia possibile che Spike Lee dia le sue prove migliori ogni volta che si avvicina al genere rispetto alle sue escursioni alte sulla mid-class coloured(e non)newyorkese. Intendiamoci,Inside Man non raggiunge le vette
sublimi di un "la 25a Ora" o "Summer of Sam" ma diventa il mezzo con cui si può apprezzare al meglio l'immenso talento stilistico del regista.L'"anima nera" di Brookling per la prima volta si spinge su un terreno sdrucciolevole come quello
dell'action commerciale,con nomi da cartellone altisonanti e plot decisamente catchy ma riesce a plasmarlo sapientemente a sua immagine senza,per fortuna,quasi mai strafare.
La sceneggiatura dell'esordiente Russell Gewirtz,precedentemente proposta a Ron Howard è pressochè perfetta,nella sua semplicità. Lo scrittore non fa altro che comporre sapientemente l'architettura di quella che a tutti gli effetti è la rapina perfetta. Dall'oscurità di una cella,il protagonista rapinatore ci invita presuntuosamente a osservare che il "dove","quando" e "perchè" del suo atto criminoso siano pressochè ovvi ma è il "come" la chiave del gioco. Un gruppo di rapinatori entrano in una banca armati e travestiti ed invece di portare via il denaro si chiudono dentro con gli ostaggi e li fanno vestire tutti come loro. A questo punto sono tutti colpevoli e nessuno è innocente. Il gioco però,scende molto più in fondo,verso trame che affondano la loro origine in eventi oscuri appartenenti a un passato sepolto.
Quello che poteva essere solamente un buon thirller diventa "a Spike Lee Joint" nel momento in cui nella vivida cornice di Manhattan,il carosello di razze,religioni e culture che la popolano entra in conflitto su un fatto macroscopico che smuove le vite dei protagonisti di questa nostra era. Al di là degli ormai caratteristici carreli,riprese frontali e movimenti di camera che da sempre sono il marchio di fabbrica di Lee,sono le ellissi umane che si intrecciano nella vicenda a rendere palese che ci si trovi davanti a un lavoro del regista newyorkese. Come in ogni suo lavoro i protagonisti folleggiano sullo schermo,con il solito Denzel Washington che incarna ogni dettame della cinematografia di Lee lasciando però lo scettro di vero vincitore a Clive Owen,che dà una prestazione quasi prettamente mimica dato che recita quasi sempre col volto coperto. Sono le sottotrame dei personaggi secondari però a caratterizzare il circo. Il ragazzino che parla come un gangsta rapper,il poliziotto xenofobo e menefreghista,il Sihk comicamente preso per arabo e maltrattato dalla polizia sono i punti dove Lee ci dice "questa è New York,la Babilonia dell'Era Moderna".Come non poteva mancare il riferimento politico celato forse un pò troppo per un pubblico europeo ma eclatante in patria. E' chiaro che le figure di Christopher Plummer e Jodie Forster(brava chiaramente ma anche inusualmente sexy)siano state aggiunte in un secondo tempo nella sceneggiatura per sottolineare i poteri occulti e i criptomeccanismi della classe dirigente americana che muove il suo potere su ingranacci che macinano carne umana senza alcuna pietà.Senza voler rivelare troppo,è curioso come il personaggio di Plummer sia chiaramente inspirato al nonno
dell'attuale presidente degli Stati Uniti,per cui padre di George Bush Senior,che creò il suo impero finanziario nella stessa maniera dell'uomo d'affari nel film. Uno scandalo che vuol far riflettere su come gli attuali poteri che dirigono gli USA e il
mondo si poggino tranquillamente su un enorme manto di carne morta e sul fatto che la corsa al potere senza alcuno scrupolo sia un evidente vizio di famiglia. Forse il film si perde un pò in un finale troppo didascalico e francamente eccessivamente
risolutore ma modula,nell'ultima immagine,tutta l'ironia e personalità di un autore così istrionico.

di Gianluigi Perrone

Wednesday, May 03, 2006

THE SHOPAHOLICS di Wai Ka Fai (2006)

Più che come regista,Wai Ka Fai è arcinoto per gli amanti del cinema di Hong Kong per aver fondato insieme a Johnny To,la Milkyway,una etichetta fondamentale per lo sviluppo del cinema action e noir di Hong Kong.Svestiti i panni di produttore,Wai Ka-fai si cimenta ancora una volta nella regia con una pellicola che con le pellicole a cui è accostato il suo nome ha a spartire solo il ritmo fretenico.Infatti the Shopaholics è una commedia che guarda dichiaratamente al mercato occidentale in quanto a temi e situazione.La definizione che dà il titolo si riferisce ad una fantomatica(ma realmente esistente)mania che riunisce i termini "shopping" e "alcoholic".La protagonista femminile infatti,Fong Fong-Fong,interpretatta da Cecilia Cheung,non può fare
a meno di dare fondo al portafogli ogni qual volta si ritrova in un centro commerciale.Questo sofisticato e moderno tipo di
psicopatologia naturalmente la mette in gravi guai economici e in situazioni decisamente surreali.Fong a questo punto dovrà dividersi tra la possibilità di sposare il suo analista(e quindi curarsi) oppure un ricco rampollo che le fa la corte.A questo aggiungiamo Ding Ding-Dong,promessa sposa di quest'ultimo che insidierà il velo della protagonista.Con una girandola di personaggi assurdi e di situazioni tipiche di una commedia leggera come questa,si condurrà tutto verso il prevedibile happy ending.Al di là del fatto che spesso queste commedie sono una flebo,forse il problema principale del film è l'eccessiva frenesia che punta a non far annoiare mai lo spettatore ma che "incasina" notevolmente la trama.Prendendolo per quello che
è,The Shopaholics mantiene quello che gli viene chiesto e sicuramente verrà apprezzato sia dal pubblico in patria che qui in occidente.E' infatti molto probabile che la storia,che parte da uno spunto decisamente frivolo e assolutamente sovrapponibile alla mentalità consumistica americana,venga acquistata da Hollywood per un ennesimo remake con i soliti Hugh Grant,Julia
Roberts,Cathrine Zeta Jones e Richard Gere.Vedremo se la previsione avrà seguito.

di Gianluigi Perrone

SEE YOU AFTER SCHOOL Lee Seok-hoon (2006)

Divertentissima commedia degli equivoci del giovane regista esordiente Lee Seok-Hoon(dopo i due corti For the Peace of All Mankind e Super Glue)See You After School(Banggwa-hu oksang)è l'ennesima prova di come,nonostante qualche scivolone recente,il cinema koreano sappia produrre opere interessanti e "superiori" rispetto alla nostra media. La pellicola racconta le vicende del "caso clinico" Namgung Dal ,talmente "nerd" da essere sottoposto a studi specifici che realizzino le cause della sua sfiga immane. Questa caratteristica non può che scatenare le ire dei soliti bulli,che a scuola torturano letteralmente il povero Dal e i suoi "simili".Quando il gruppo di pestatori più duri della scuola darà appuntamento all'improbabile personaggio per il Nostro scattera un fatale conto alla rovescia verso la morte certa,durante il quale cercherà in tutti i modi di scampare al fatale destino,aiutato da un'altro surreale personaggi,Yeong-seong,esperto nel mimetizzarsi per evitare i sistematici pestaggi.Purtroppo il destino rio e infame genererà le situazioni più rocambolesche e surreali tali da impedire a Dal di sfuggire al tanto temuto incontro.Paradossalmente però,gli eventi impossibili porteranno a far sì che intorno a Dal si crei un mito di invincibilità e pericolosità(alimentato dal pallonaro della scuola)per cui i suoi carnefici faranno un'inaspettato dietro front per allearsi con lui.La ovvia catarsi finale vuole che alla fine il protagonista prende coscienza di sè e i poveri sfigati abbiano la loro rivincita contro le angherie subite.Al di là della trama,perfetta e funzionale come una bomba ad orologeria,la regia appare immediatamente perfetta e,come spesso nelle produzioni koreane,virtuosa come è raro in
produzioni in fin dei conti leggere come questo.Grandissima prova di personaggi,tra tutti il protagonista Bong Tae-gyu(Jungle Juice),perfettissimo e di una fisicità unica.Pare di vedere Benigni nei periodi d'oro e le spalle non sono da meno.Ci si sbellica alla grande tenendosi la pancia e l'atmosfera leggera e surreale riesce anche a giocare con lo spettatore grazie a
diverse,ciniche,intuizioni di script.

di Gianluigi Perrone

WELCOME TO DONGMAKGOL di Park Kwang-hyun (2005)

Primo film per il giovanissimo regista sud koreano Kwang-Hyun Park e vincitore del primo premio assegnato dal pubblico all'ottava edizione del Far East Festival. Film blockbuster in Korea con 8.000.000 di biglietti venduti nella sale.
La trama si situa durante la seconda guerra mondiale, un militare americano e un gruppo di soldati koreani di fazioni opposte si trovano in uno sperduto villaggio in mezzo ai boschi. Saranno trascinati in quel luogo dall'incontro casuale con una dolce fanciulla con dei problemi a livello psicologico. Pian piano si integreranno con le presone del villaggio ma soprattutto
inizieranno a non vedersi uno con l'altro come dei nemici, a tralasciare i colori delle loro divise e a vedersi come uomini e non come burattini. La fanciulla che compare anche della locandina del film rappresenta l'innocenza, lo si intuisce quasi da subito. Il film come si può dedurre già dalla trama è una metafora sull'innocenza, sulla lealtà e sopratutto sul concetto di pace, la quale viene rappresentata con una semplicità degna di un bambino. Il regista stesso prima della proiezione a Udine, in anteprima Europea, sotolinea il film come strumento per la pace.
Non a caso sottolinea come film che l'ha ispirato "La vita è bella" di Benigni. Tecnicamente il film è ottimamente ralizzato, il budget è stato senz'altro ampio e il regista in alcuni punti si lascia andare a dei virtuosismi che lasciano davvero a bocca perta, virtuosismi visivi mai lasciati al caso dato che nascondono significati che fanno pensare e che non sono per nulla difficili da intuire appunto per il fatto della visione innocente e bambinesca, ma non per questo banale. Alla fine della proiezione.L'applauso dura svariati minuti, facendo commuovere il regista stesso e parte stessa della platea.Tirando le somme il film ha meritato il premio, certo è un blockbuster e sicuramente andrà in contro a critiche anche feroci, non si può negare però un gran talento nel creare un visione innocente, nel caraterizzare personagi simbolici ad arte e poi la scena dei "pop corn" e non aggiungo altro, è davvero indimenticabile e non a caso è scoppiato un applauso dalla platea sebbene fossimo in piena proiezione.

di Davide Casale

HELLO YASOTHORN di Petchtai Wongkamlao (2005)

Nell'ambito della commedia uno dei più noti registi Tailandesi. Questo bizzarro film, non solo per i canoni completamente
differenti da quelli occidentali, è una sorta di ibrido della vicende di Romeo e Giulietta. Quello che colpisce fin dalle prime inquadrature è un uso innovativo dei colori. Il cielo e i colori della campagna sono filtrati dando un effetto distorto che sarebbe quasi onirico se i personaggi in primo piano non fossero estremamente nitidi e in linea con il bizzarro effetto cromatico.Il lavorto dei costumisti in questo film appare subito molto vasto ed estremamente curato non solo per quanto riguarda i protagonisti ma anche per i personagi secondari e le semplici comparse.
Per quanto riguarda la trama semi shakespeariana vediamo uno zio e un nipote, quest'ultimo innamorato di una ragazza più ricca e già promessa ad un personaggio estremamente bizzarro, il quale con i suoi due scagnozzi (molto simili ai bravi di Manzoni seppur in maniera delirante)
è uno dei personagi più esilaranti della pellicola. Lo zio invece ama gli animali, è sempre pronto a prendersi cura di loro ma la donna che lo ama viene al contrario trattata come una pezza da piedi. Le cose cambieranno quando le due donne dovranno recarsi a Bangkok e loro si troveranno da soli..
Il film non mette in campo una trama originale e tanto meno ricca di sorprese, ma l'uso dei colori, quasi ipnotico, e la tempistica pressochè perfetta rendono quest' opera molto interessante e mai noiosa. Senz'altro da vedere per l'innovazione e per farsi due risate diverse dal solito.

di Davide Casale

BANGKOK LOCO di Pornchai Hongrattanaporn (2006)

Difficile pensare che mentre dirigeva Bangkok Loco,Pornchai Hongrattanaporn(ma si chiama veramente così???)non
pensasse alla realtà lisergica degli acidi e dell'lsd.La commedia musicale thailandese più assurda di tutti i tempi,punta tutte le
sue carte sulla frenesia di musica e colori stroboscopici che vivacizzano lo schermo.Non che se ne capisca molto
ma,cercando di tratteggiare una trama,si potrebbe cominciare dalla fuga di Bay,un promettente batterista stralunato che ha
formato la sua preparazione quasi shaolin con un maestro alquanto bizzarro ed aspire ad arrivare al decimo grado di potenza nell'arte del drumming.
Quando qualcuno cerca di incastrarlo su una serie di omicidi,si troverà ad indagare con alle calcagna un temibile quanto
surreale ispettore di polizia,fino a scoprire le forze oscure che tramano per acquistare il potere.Lasciate perdere la storia.Se
dopo un quarto d'ora di Bangkok Loco siete ancora lì,non conviene far altro che farsi trascinare nella incredibile quantità di assurdità e sfumature cromatiche presenti nel film.Il regista tenta qualsiasi espediente cinematografico per creare una frenesia lisergica nelle azioni.La comicità demenziale dei personaggi punta ai massimi livelli senza dare un'attimo di tregua allo spettatore.Numerose le citazioni cinematografiche anche se completamente fuori luogo.
Complessivamente il film è un'idiozia ma,puntando tutto sul ritmo dichiaratamente da videoclip e sulla comicità da bagaglino,non può che divertire grazie al suo stile decisamente inedito.Da vedere in "smokorama".

di Gianluigi Perrone

SHINOBI di Shimoyama Ten (2005)

L'antica figura dello shinobi è stata comunemente diffusa in occidente da un noto videogioco della Sega.In realtà il termine
indica una schiera di ninja particolarmente abile che servivano i regnanti durante il periodo Heian(tra il 794 e il 1185).
Ten Shimoyama,dopo un'incursione nell'horror con St John's Worth e una nella commedia romantica con About
Love,riprende il mito di questi guerrieri del mito nipponico.
Durante parte dell'era Tokugawa,i due clan ninja,Iga e Koga, sono in eterna lotta.Una guerra sanguinosa che falcidia le vite
degli abitanti dei villaggi nascosti.
Per mettere fine alle belligeranze,viene deciso che i cinque membri più letali dei clan,gli shinobi appunto,dovranno
fronteggiarsi fino alla morte.A capo di essi vengono scelti la giovane Oboro,nipote di Ogen,la matriarca degli Iga e
Gennosuke,figlio di Danjo Koga,leader dell'omonimo clan.
I due giovani si rifiuteranno di combattere,straziati dall'amore dell'uno verso l'altra.Tuttavia,quando Gennosuje troverà il corpo
del padre morto,ucciso dal clan Iga,troverà il sentimento di vendetta più forte dell'amore per Oboro.
Il film di Ten riprende evidentemente il mito di Romeo e Julietta trasponendolo nella tradizione popolare giapponese e condendolo con una dose massiccia di arti marziali.Se ,infatti,ad uno sguardo superficiale,Shinobi può sembrare una storia d'amore tout court,in realtà ricerca come metodo attrattivo principale la massiccia dose di arti marziali.
Tendente ad un mercato anche e soprattutto occidentale,il film propone le varie tecniche Ninja in varie salse,senza lesinare su effetti speciali visivi.Paradossalmente le caratterizzazioni dei personaggi ricordano molto da vicino quelle degli X-Men e di altri supereroi Marvel(e non) in quanto a poteri ed abilità.Così vediamo un clone di Wolverine con tanto di lame sulle mani,Yashamaru la cui tecnica marziale prevede l'estenzione di tentacoli che non possono non far venire in mente il Doctor Octopus,il bacio avvelenato di Kagero è preso pari da Poison Eve alla quale viene aggiunto il dramma dell'impossibilità di relazionarsi(come Rouge)e Kisaragi Saemon ha la capacità di teletrasportarsi e di rubare le sembianze altrui come la blu-squamata Mystique e il suo simile Nightcrawler.
Nonostante questi poteri fossero da tempo leggendariamente riferite ai ninja non si può non notare un rimando al mondo dei comics americani e purtroppo Ten sembra puntare troppo su questo lato della vicenda omettendo completamente interi paragrafi di storia,il che rende la trama spesso noiosa e ampollosa.
Indubbiamente l'interesse della produzione era creare un blockbuster di fattura sontuosa che potesse essere venduto anche in occidente e non ci stupiremmo se il film venisse venduto anche in Italia,tuttavia siamo ben lungi dall'avvicinarci ai risultati di Bryan Singer e anche volendo cercare nella tradizione cinematografica nipponica,Shinobi non riesce ad emozionare come
quel gioiellino che è Duel to the Death,che contava su mezzi molto più arcaici.
Shinobi,che potenzialmente poteva dare molto di più,rimane un puro divertissement che lascia il tempo che trova.Un'occasione in parte sprecata.

di Gianluigi Perrone