Monday, January 15, 2007

FEMALE YAKUZA TALE di Ishii Teruo (1973)

Infischiandosene del finale del suo predecessore,Ishii Teruo prepara il sequel di Sex & Fury e resuscita il personaggio di Inoshika Ocho,sempre interpretata dalla letale Ike Reiko.La ladra,giustiziera,giocatrice d'azzardo stavolta se la vedrà con una organizzazione criminale invischiata ne traffico della droga che ha un metodo poco ortodosso di farla nascondere ai suoi corrieri.Infatti la cocaina è stata messa nelle Madonne,nei cadaveri e nei copertoni delle macchine,ma stavolta gli yakuza la mettono direttamente nell'intimità del proprio gruppo di donnine che vendono sfruttate bellamente come mezzo di trasporto per carichi più o meno grandi di stupefacente.Infiltratasi tra i criminali,Ocho libererà le compange che si vendicheranno atrocemente.Ishii ha una concezione completamente diversa dell'immaginario sessuale rispetto a Suzuki Norifumi,quindi la sua sexploitation non ha ctoni intenti politici ma più che altro sociologici.Nel carosello di corpi nudi,dove ogni scusa e buona per mostrare un paio di tette o dei culi nudi,tanto che non si spiega perchè nel finale si spogniano tutte completamente,coreografando uno dei più deliranti massacri erotici della storia del cinema,si può realizzare il senso della reazione femminista contro il maschilismo imperante.Difatti,se nella prima parte la perversione sessuale e talemente limacciosa e machista da risultare disturbante,con l'immagine della donna totalmente assoggettata all'uomo,nel climax finale la liberazione della furia femminile è talmente straripante da essere liberatoria.I toni di Ishii sono sempre grotteschi ed esagerati fino a diventare fumettistici nella caratterizzazione dell'immagine di alcuni personaggio.Giammai pari al predecessore e sostanzialmente diversissimo.

di Gianluigi Perrone

SEX & FURY di Suzuki Norifumi (1973)

Forse l'apice della prolifica e spesso brillante carriera di Suzuki Norifumi,Sex & Fury è il film simbolo della carriera di Ike Reiko,papessa della sexploitation nipponica e icona del genere.Qui intepreta Inoshika Ocho,una ladra e giocatrice di azzardo che,durante l'era Meiji( 1868 - 1912 )si trova a raccogliere l'ultima volontà di un assassinato morente che gli chiede di portare dei soldi per riscattare la sorella la cui verginità sarà venduta al miglior offerente.L'uomo che la deve riscattare è un potente diplomatico statale tra i vertici di una
organizzazione che fa capo al governo corrotto che scommette con Ocho il destino della ragazza.Sul tavolo verde,Ocho dovrà incontrare Christina,favorita dell'ambasciatore inglese e abile giocatrice ma in realtà spia del governo segretamente innamorata di un rivoluzionario contro l'alleanza tra Giappone e Inghilterra.Gli interessi delle donne,nonostante le due abbiano molto in comune,andranno a scontrarsi creando un inevitabile scontro.Ocho diverrà la prima molla della rivoluzione e spietata vendicatrice.Film totale che dimostra come Suzuji sia stato un nome imprescindibile per il cinema di genere giapponese,a cui molti contemporanei vedono senza magari ammetterlo.La commistione tra sesso e violenza dello stile del regista qui è perfetta e arriva al sublime con il confronta tra due veneri avvenenti e generose a confronto di Oriente ed Occidente.Ike Reiko e Christina Lindberg(una anno prima del suo film più importante,Thriller a Cruel Picture)dominano nelle scene d'azione e di sesso senza mai rubarsi la scena ma competendo in carica erotica.L'ambientazione cronologica in un periodo di fortissima transizione ed occidentalizzazione del Giappone rivela ancora gli interessi sociali e politici di Suzuki che non manca mai di dare un substrato ai propri film.Come sempre il potere costituito è malato,corruttibile,malsano e deve venire annientato dalla furia distruttiva della libertà che le eroine di Suzuki rappresentano.Alcune scene immense,su tutte il massacro plurimo da nuda e il tragico epilogo finale fanno tremare i polsi per intensità visiva.E Suzuki ancora capofila dell'exploitation nipponica.

di Gianluigi Perrone

DELINQUENT GIRL BOSS di Yamaguchi Katsuiko (1971)

Il film di Yamaguchi è decisamente il più debole della serie raccolta dalla Panik House nel filone della Pinky Violence Collection.Più che un sexploitation o un crime movie,Delinquent Girl Boss: Worthless To Confess parte come una commedia sporcacciona con battute a doppio senso e sordide macchiette in fregola per le intimità delle riot girlz di turno per poi,inspiegabilment prendere una piega semidrammatica e seriosa. Oshida Reiko è una giovane ragazzetta appena uscita dal riformatorio che sogna di farsi strada nel mondo della
mala.La ragazza si allea con le sue ex compagne di riformatorio ed entra nel clan del padre di una di esse,in lotta con un gruppo yakuza avversario.Inevitabilmente troveranno lo scontro.Oltretutto Delinquent Girl Boss ha una storia inutilmente complessa che si contorce su se stessa perdendosi spesso nella comicità slapstick meno appropriata che si sposa molto male con i momenti che sottendono alla vicenda vera e propria,in cui il gruppo di ragazze affronta gli yakuza.Yamaguchi sembra non voler rischiare e non eccede nè in sesso nè tantomeno in violenza,creando un'opera troppo tiepida per poter shockare chicchessia.

di Gianluigi Perrone

MILLIONS di Danny Boyle (2004)

Divertente ed educativa incursione nella visione infantile dei grandi temi della vita,quella che Danny Boyle fa in Millions.Forte di una regia incisiva,mai eccessiva e mutuabile ad alcuni elementi,mai più ripresi,che avevano fatto la fortuna di Trainspotting(ed di tanto cinema britannico in seguito),Boyle osserva le conseguenze estreme ed invisibili del consumismo sulla quotidianità con gli occhi di un bambino incontaminato dall'avidità umana.Il piccolo Damian è un bambino cresciuto con valori di solidarietà e con una strana propensione per le vite dei Santi che lo fa sembrare eccentrico agli occhi degli altri.Lo sarebbe ancora di più se rivelasse di avere possibilità di comunicare con loro.Quando la madre muore prematuramente,si trasferirà con il padre e il fratello maggiore in un altro quartiere.Per un caso del destino,una borsa piena di soldi gli cadrà dal cielo e dovrà spenderli o cambiarli prima dell'imminente cambio tra sterlina a euro.Chi ha perso i soldi,però,li rivuole indietro.Al di là della storia in sè,Millions parla del malato rapporto con i soldi che ci viene inculcato sin dalla primissima infanzia.Damian non si rende conto del potenziale del denaro,a differenza del giovane fratello che già ha una idea ben chiara di come trovare il modo per moltiplicarlo perchè già spurio dall'ingenuità infantile,e vorrebbe usarlo solo per aiutare i poveri,per emulare i Santi che tanto ammira.Il film di Boyle fa riflettere su come sia diventato talmente difficile essere buoni e altruisti da non poter vedere che il lato più consumistico del denaro.In una rappresentazione colorata e goliardica,Boyle traspone realisticamente la mentalità dell'usa e getta,del possesso del futile e della società poliedricamente capitalista in generale.Quella di Boyle non è una critica feroce,tuttavia,ma una costatazione,una riflessione su come abbiamo perso completamente l'innocenza di riconoscere l'essenziale ed il genuino in luogo dell'avidità,in un mondo dove l'esistenza di qualcuno disposto a dare tutto ciò che ha al prossimo è null'altro che un miracolo.

di Gianluigi Perrone

LUCKY NUMBER SLEVIN di Paul McGuigan (2006)

Paul McGuigan continua il suo discorso personale con il noir sfumato sul pulp con risultati altalenanti.Finora l'apice della sua carriera era stato l'ottimo Gangster N 1 e con Lucky Number
Slevin prosegue sulla stessa falsariga,stavolta con un cast di invidiabile talento.Fulcro della vicenda è Slevin,interpretato da Josh Hartnett che sta cercando di costruirsi una carriera all'insegna della crime story,un nullafacente trovatosi suo malgrado alle strette tra due boss della mala scambiandolo per l'amico Nick che è misteriosamente scomparso.I gangsters lo
mettono nelle condizioni di dover uccidere un uomo e procurarsi 33.000 dollari entro tre giorni per non vedersi fare la pelle.Quella di Slevin è la classica storia che parte da un assunto per racchiudersi a spirale verso altre realtà che racchiudono una rivelazione finale completamente diversa e questo sembra essere ovvio sin dalle prime battute del film.E sono la prevedibilità degli eventi e la difficoltà da diventare storia a sè dallo stile di altri connazionali che impediscono a McGuigan di fare un salto di qualità.Il regista ha affinato la regia notevolmente e fa un ottimo lavoro cronologico,soprattutto nella prima parte del film,ma si perde in alcuni inutili manierismi come dialoghi troppo sopra le righe per non rimandare a inevitabili deja-vu e situazioni paradossali che danno sempre un pò il senso di forzatura.Il tema
della vendetta a lungo termine,ormai abusatissimo,necessita soluzioni inedite per non diventare un clichè intermittente.McGuigan è comunque raffinato e sicuro di sè dietro la macchina da presa ed è innegabile che un cast del genere,che vede gigioneggiare Ben Kingsley e Morgan Freeman,aiuta molto la visione.Eppure,anche l'apporto di Lucy Liu sembra decisamente sprecato perchè i personaggi non sono mai incisivi.Alla fine il migliore della partita rimane Bruce Willis che è evidentemente altrettanto valido nelle interpretazioni pacate minimaliste che in quelle muscolari.

di Gianluigi Perrone

Wednesday, January 10, 2007

GUMMO di Harmony Corine (1997)

Korine ha sceneggiato alcuni film di Larry Clark tra cui KIDS e KEN PARK. GUMMO è il primo film che gira oltre a scriverlo. L’opera è Ambientata in una paesino della provincia Americana dopo che un tornado ha investito la quotidianità della popolazione, creando danni ma soprattutto mettendo simbologicamente allo scoperto la quotidianità malata e distorta della profonda provincia Americana. GUMMO è un susseguirsi si personaggi bizzarri e rappresentativi, caratterizzati dalla necessità di sconfiggere la noia e la piattezza di un’ esistenza espulsa a calci dal sogno Americano. Individui a cui non resta che arrancare senza nemmeno cercare un senso alla propria esistenza e senza poter contemplare la possibilità di un’alternativa esistenziale che non è nemmeno immaginabile. Un vivere, agli occhi “del resto del mondo”, fuori dagli schemi ma estremamente reale come imperturbabile.La roca voce fuori campo che presenta le vicende e si erge a osservatore partecipante e ovviamente non critico, è quella di un protagonista fra i molti, un ragazzino dallo strano volto interpretato a 14 anni da Jacob Reynolds, il quale racconta quello che gli sta attorno come se dovesse scrivere una cronaca per i compiti a casa.In questo film regna un silenzio contemplativo interrotto da musiche particolari da ricondurre alle sonorità “alternative” in pieno auge durante la metà degli anni ’90, periodo in cui è stato girato il film.Il montaggio è fuori dagli schemi classici e la fotografia appare smorta come i personaggi stessi, i quali tradiscono un’ energia vitale resa impotente dall’ humus quotidiano di cui si nutrono.Alcune sequenze sono meravigliose, prima fra tutte la discesa in bicicletta del “protagonista” e di un suo amico, sequenza montata in maniera originalissima a accompagnata dalla musica dei DAGONAUT.Tipico delle sceneggiature di Korine è il mostrare personaggi turbati, qui la sequenza del nano di colore e omosessuale è esplicativa. Una realtà in trappola per definizione, come i gatti di cui vanno a caccia i ragazzini del paese per guadagnare qualche spicciolo e per far passare il tempo.Anche loro sono figli dell’America, per quanto persi in un limbo di provincia.

di Davide Casale

GRAVEYARD OF HONOR di Miike Takashi (2002)

Riadattamento del romanzo Jinji No Hakaba/Graveyard of Honour di Fujita Goro e remake del film datato 1975 e dal titolo omonimo firmato Fukasaku Kinji.Temi perfetti per Miike come la Yakuza e critica interna al suo Giappone. Infatti ll film segue a pari passo con le vicende del protagonista la cosiddetta “bolla economica”, fenomeno esploso nel sol levante durante gli anni ’70 e ’80 che creò una grande crisi socio-economica. Il protagonista del film, Rikuo, è magistralmente interpretato da Kishitani Goro che lo delinea al meglio rendendolo quasi irriconoscibile durante la discesa nel suo inferno personale. Rikuo è uno yakuza diventato tale per aver quasi casualmente salvato la vita ad un boss malavitoso e guadagnandosi quindi un posto di rilievo nella “famiglia”. Rikuo non riesce a scendere a compromessi, è incontrollabile sia dalla yakuza che nel dominare le proprie emozioni e qui di nuovo il riferimento all’ingestibilità di certe crisi economiche. Miike caratterizza la prima parte del film con una presenza incisiva di musiche che ricordano epopee gangster ambientate nell’america del proibizionismo, siamo in pieno clima malavitoso ma fin da subito le regole ferree della Yakuza vengono scombussolate dal comportamento istintivo del protagonista che mette a repentaglio oltre alla sua vita anche la vita di coloro che onoratamente lo rispettano e lo considerano un fratello. Rikuo è un proiettile vagante nell’ordine prestabilito della criminalità organizzata, difficile da contenere e impossibile da prevedere quando inizia a fare uso massiccio di eroina, per giunta con un approccio alla droga del tutto casuale, esemplificativo dell’incontenibilità e imprevedibilità del personaggio. Una figura femminile gli si affianca e tenta di far parte della sua vita, cosa impossibile dato che nemmeno lui riesce a governare la propria esistenza, curioso come tra il protagonista e la sua “sposa” non vi sia alcun dialogo durante le oltre due ore della durata se non un breve dialogo schermato attraverso un vetro di una prigione. Tipico di Miike conferire ai personaggi femminili un ruolo particolare, subalterno e che tende sempre a portare una sorta di razionalità.Non è un film epopea e questo è molto importante dato che la storia di Rikuo non va di concerto all’ambiente in cui è inserito e tanto meno crea lui stesso un proprio regno personale. Il protagonista non va nemmeno controcorrente, questo sarebbe il caso della vendetta, ma l’unica vendetta in cui si imbarca è un vendetta sbagliata ed erronea. La causalità e l’errore dominano la sua storia e la fanno caratterizzare dall’ imprevedibilità.Rikuo non si muove nemmeno trasversalmente ai fatti, lui si muove in tutte le direzioni andando a rimbalzare ovunque e dichiarando guerra a chiunque gli si pari davanti quale ne sia la ragione, senza quasi un motivo.Film profondo e girato magistralmente. Rikuo in una sequenza reca una bandiera del Giappone appoggiata sulle gambe, egli rappresenta il Giappone stesso della “bolla economica”.

di Davide Casale

TANK GIRL

Non convince questa trasposizione cinematografica dell’ omonimo fumetto. La figura bizzarra della ragazza post punk che attraversa la sua esistenza in maniera istintiva e fuori dai canoni, in un mondo post atomico, è interpretata da Lori Petty. L’attrice non riesce a dare le sfumature necessarie al personaggio. Sono completamente assenti caratteristiche che rendono Tank Girl unica, primo fra tutti lo sguardo cinico di quando si arrabbia e regge cocciutamente la sigaretta tra le labbra. La Petty incarna un personaggio che delinea sufficientemente l’essere sbarazzino della giovane punk ma manca totalmente di verve per quanto riguarda i momenti action del film, emozioni di rabbia sono ovattate in maniera deludente. Non servono a molto interpreti d’eccezione quali Malcolm McDowell, Ice-T, Naomi Watts e Iggy Pop per citarne alcuni.
Tank Girl è un personaggio difficile da interpretare certo, ma qui viene addirittura affossata la sua figura, delineata come una stupida bambolina sexy che pare non sapere nemmeno dove si trovi, con qualche impeto di rivalsa mal fatto messo a casaccio. Il carattere pungente tipico di un movimento in stile “Riot Girrrrl” qui non esiste e fa di questo film un’ occasione totalmente sprecata, si poteva ottenere divertimento puro con una trasposizione ben fatta e invece si ottiene addirittura della noia.

di Davide Casale

HUSTLE & FLOW di Craig Brewer (2005)

Significativo esordio di Craig Brewer dietro la macchina da presa e indubbia nascita di un talento da tenere d'occhio.Hustle & Flow è un termine tecnico riferito alla musica hop hop,l'universo intorno a cui girano i sogni di Djay(Terrence Howard),un magnaccia squattrinato che campa coi soldi portati dalle sue tre prostitute:Nola,Shug e Yevette.La vita di Djay prosegue nel degrado più squallido coltivando il sogno di diventare una star dell'hip hop.Quando gli si presenta l'occasione di incontrare Skinny black,uno di quelli che ce l'ha fatta,il desiderio disperato di superare la mediocrità di quella vita fa volare troppo la fantasia e Djay,incontrato il vecchio amico Key(Anthony Anderson)comincia a produrre dei demo.Prodotto da John Singleton,sempre attento alla cultura black americana,H&F stupisce per il lucido lavoro di analisi del più basso sottobosco della comunità nera(in questo caso di Memphis).Grazie a un lavoro straordinario di attori(Howard è stato candidato per l'oscar Taryn
Manning e Taraji P Henson non sono assolutamente da meno)Brewer ci cala completamente nella dimensione più greve dell'american dream,di quel sogno talmente disperato perchè unica via di scampo dalla miseria più nera.Negli occhi di Djay c'è tutta la paura di chi non ha mai avuto nulla ed ha comunque tutto da perdere,mentre si aggrappa con le unghie a una pietosa bugie che gli possa dare l'opportunità solo di contemplare il sogno.Una grandissima parabola esistenziale che si avvale dell'atmosfera dei bassifondi neri mutuabile alla blaxploitation anni '70,di cui Hustle & Flow è uno dei pochissimi discendenti degni del nuovo millennio.A riprova di ciò,la presenza di Isacc Hayes,interprete del cult Truck Turner e pietra miliare del funky che risuonava in mille colonne sonore del filone blax,così come la colonna sonora del film,rigorosamente hip hop con pezzi cantati dallo stesso Howard,mette i brividi.

di Gianluigi Perrone

MONOPOLY

Al suo esordio cinematografico,Lee Hang-bae mostra subito di che pasta è fatto proponendosi come nuovo nome di punta per l'industria cinematografica sudkoreana sempre in cerca di nuovi talenti da affiancare a Park Chan-wook,Kim ki-duk e Bong Joon-ho verso la corsa ad Hollywood o comunque al successo festivaliero occidentale.E lo fa con estrema classe,rigettando gli eccessi visivi spesso barocchi dei suoi connazionali in luogo di uno stile pacato,ironico,intellettuale.Sembra una prova jazzistica questo Monopoly che muove le mosse sulle strutture tipiche del noto gioco di ruolo,muovendosi nel mondo della finanza meno puliti con un retrogusto noir che prende i primi passi da alcuni estetismi di David Lynch ma che se ne discosta con gran maturità permeandosi in una ambiente glaciale ed asettico.La strana storia di Kyung Ho inizia quando questo genio dell'informatica,timido e talmente appassionato di action figure tanto da comunicare apertamente con loro,non viene a contatto con delle potenti banche che lo utilizzano per loschi traffici.Nel momento in cui si trova a che fare con cifre a svariati zeri Kyung Ho subisce l'influenza del misterioso John Lee che lo orchestra a suo piacimento per fare il grande colpo.Già dal sunto del plot si evince che in Monopoly nulla è come sembra e ne abbiamo continua riprova lungo lo svilupparsi della narrazione.La personalità del Lee sceneggiatore(o potremmo chiamarla sfacciataggine)sta nel fatto che si insinua pacatamente nella curiosità dello spettatore con l'intento di ingannarlo.L'inganno stesso è il significato ultimo di Monopoly,sia nella narrazione del film che negli intenti di script.Dire di più sarebbe un crimine,basti sapere che Lee conduce su una strada che idealmente dovrebbe portare a una meta ma che in realtà ha tutt'altra direzione.Vi è una evidentissima fonte americana citata in Monopoly ma rivelarla sarebbe come svelare il twist finale.Fonti a parte,Lee dimostra il giusto carisma per diventare un gigante del cinema sudkoreano.La sua (speriamo)prossima proposta ci lascia tra le attese più spasmodiche.

di Gianluigi Perrone

THE TATTOOED HITMAN

Tra un Fukasaku ed un altro,il periodo d'oro di Bunta Sugawara ha trovato anche in altre pellicole considerate minori la realizzazione del suo successo.Tra questi non si può prescindere The Tattooed Hitman di Yamashita Kosaku,mestierante di polso che ha firmato diversi ottimi prodotti tra cui il primo Red Peony Gambler(Lady Yakuza).The Tattooed Hitman poggia tutto sul carisma di Sugawara(che qui è accreditato come Bud)che qui anticipa di quasi dieci anni le vicende che DePalma disegnò sulle movenze nervose di Al Pacino in Scarface.E non è escluso che la vicenda raccontata di Yamashita non fosse mutuata dal ricordo del film di
Hawks che avrebbe ispirato anche DePalma visto che il protagonista,il gangster Yozakura,è il prototipo del malvivente che vive una inarrestabile ascesa al potere in una spirale di violenza inarrestabile.Lo yakuza Yozakura è un tipo duro e taciturno,molto vicino a quello che Don Siegel aveva fatto di Clint Eastwood dall'altra parte della legge,con una propensione particolare ad eliminare chiunque non avesse maniere adeguate al suo gusto.Eccessivo,desiderato dalle donne e odiato,invidiato ma rispettato dai nemici,viene mandato dal suo boss a ristabilire una situazione incontrollabile ad Osaka.Qui,da outsider,Yokazura comincia a schiacciare uno per uno tutti i boss della mala con mano di ferro,divenendo in breve tempo potentissimo.La sua scalata diventa motivo di paura ed invidia per molti,sia tra le forze dell'ordine che tra il resto della malavita locale.Solo contro tutti,Yamashita venderà cara la pelle.Teso e di ritmo serrato,The Tattooed Hitman sfrutta al massimo le capacità recitative di Sugawara e un sceneggiatura solida,classica ma efficace.Curioso il fatto che tra gli sceneggiatori ci sia Jack Sholder,regista di genere che ha all'attivo ottime prove come l'Alieno e Nightmare 2,alla sua unica esperienza asiatica.

di Gianluigi Perrone

CRIMINAL WOMAN:KILLING MELODY

Sempre sulla falsariga del filone delle criminali in gonnella,nel 1973(anno iperprolifico per l'exploitation giapponese)esce Zenka onna: koroshi-bushi,noto col titolo inglese di Criminal Woman:Killing Melody.Protagoniste due muse incontestabili del genere in patria,Sugimoto Miki e Ike Reiko,presenti praticamente in quasi tutte le produzione del periodo.Quest'ultima interpreta Maki,figlia di un uomo incastrato nel giro della droga dal boss locale.La vita di Maki ha avuto un tracollo verticale con conseguenze anche tragiche dopo la morte del padre tanto da finire in carcere.Qui incontra un gruppo di donne dal passato criminale tra cui Massayo che sembra essere colei che spadroneggia in prigione.Dopo una fase di conflitto e studio, le donne decidono di allearsi e una volta uscite preparano un piano intricato per vendicarsi del Boss Oba (Ryôji Hayama).Il piano non sarà così semplice visto che l'organizzazione criminale
si rivelerà essere terribilmente spietata.Il regista Mihori Atsushi non pare aver prodotto null'altro nella vita oltre a questa pellicola rientrata un pò tra i cult del genere.A dirla tutta si vede una
certa inesperienza ed una difficoltà a spingersi oltre certi limiti.Rispetto ad altre pellicole dello stesso filone(si pensi ai lavori di Suzuki Norifumi)gli eccessi visivi legati alla violenza sessuale e non sono più contenuti e visivamente poco impressionanti.Nonostante un'ottima mano sulle scene d'azione la trama diventa spesso macchinosa e ridondante sacrificando il ritmo.Anche il piccolo primato di utilizzare la motosega in modi poco convenzionali un anno prima di Non Aprite Quella Porta(anche se il primato spetta a L'Ultima Casa a Sinistra)sfuma per la mancanza di scene sanguinolente in cui l'arnese venga utilizzato in tutto la sua potenzialità.

di Gianluigi Perrone

TERRIFYING GIRLS HIGH SCHOOL

Suzuki Norifumi continua la sua opera di distruzione delle istituzioni sociali con questo Terrifying Girls' High School: Lynch Law Classroom,in cui se la prende con la scuola ed il sistema educativo in generale. Tra i più violenti del filone delle liceali criminali,TGHS racconta della morte apparentemente accidentale di una studentessa,caduta dal tetto di un rinomato
liceo femminile.In realtà noi sappiamo che la ragazza si è lanciata per sfuggire al linciaggio di un gruppo di compagne che,foraggiate dal preside,creano un clima di terrore in tutto il liceo.Quando nella scuola verranno mandate le tre peggiori studentesse del Giappone,espulse da tutte le scuole(una va anche vestita da cow girl)che si scontrano con il nonnismo imperante.In realtà una di loro cerca vendetta per la morte della amica del cuore.Come spesso nel cinema di Suzuki,ogni scusa è buona per creare nuove possibilità di tortura e libido.Tra un nudo ed una scena lesbo,il regista si performa nelle più sadiche violenze a sfondo sessuale tra cui spiccano la lampadina vaginale e l'elettrocuzione puberale. Il tutto con l'eleganza visiva che caratterizza sempre le opere di Suzuki.Del regista rimane la provocazione spinta dell'istituzione e del potere,dipingendo addirittura il Primo Ministro col tipico baffetto hitleriano e lasciando ad intendere che più un programma si basa sulla rettitudine e la ricerca pedissequa delle regole imposte,più viene corrotto dall'interno nella maniera più laida possibile.

di Gianluigi Perrone

SCHOOL OF THE HOLY BEAST di Suzuki Norifumi (1974)

Il genere nunsploitation è prerogativa quasi esclusiva della cinematografia europea o comunque occidentale per ovvi motivi culturalreligosi,tuttavia questo non ha impedito che in
terra nipponica venisse prodotto uno dei migliori prodotti del genere in assoluto. Suzuki Norifumi(insieme allo sceneggiatore di fiducia Kakefuda Masahiro),nei primi anni 70 ha prodotto quanto di meglio la exploitation giapponese potesse partorire con cult come Girl Boss Guerilla,Sex & Fury,Terrifying Girls' High School e questo School of the Holy Beast(noto anche come Convent of the Sacred Beast). La giovane Maya si dà alla sua ultima notte di bagordi prima di chiudersi nel convento dove 18 anni prima sua madre la diede alla luce perdendo la vita in circostane misteriose.Nel convento sperimenterà l'ipocrisia e la cattiveria della madre superiora e delle altre novizie ma soprattutto della perversa corruzione che pervade tutto il mondo clericale.SOTHB è pervaso da un tale senso di depravazione che non avrebbe sfigurato in una novella di DeSade.Il fatto di non avere la religione cristiana come dottrina di Stato e non essere ideologicamente legati al cristianesimo ha permesso agli sceneggiatori di fregarsene e sbizzarrirsi in immagine iconoclaste e irriverenti verso le figure religiose.Infatti è raro vedere un tale accanimento verso la categoria clericale e una tale eretica blasfemia verso le immagini sacre.SOTHB è una creatura poliedrica che contiene in sè diverse nature diverse.Idealmente un sexploitation condito da molta ironia nella sua prima parte, in cui la lascivia è il pane quotidiano di ogni inquadratura dove viene stimolata e suggerita la libido sessuale ed ogni scusa è buona per mostrare un paio di tette. Da questo punto di vista se la contendono la protagonista,Takigawa Yumi(al suo esordio dove il suo personaggio prende il suo stesso cognome)e la ninfetta viziosa Yamauchi Emiko nel ruolo di Ishida,che sono le più smaliziate tra le occupanti di questo convento del vizio.Ma nella pellicola pulsa anche una forte anima horror/drammatica esaltata dalle ispirate inquadrature di Suzuki che dimostra un immaginario raffinato nella sua perversione.Rischiano di far gridare al capolavoro scene
dall'enorme impatto visivo come la fustigazione con le rose dall'incredibile fascino simbolico
ed ambivalente e la tortura dell'acqua salata dal deviato sadismo eretico che contribuisce,con la più morbosa delle vicende incestuose,a dare a School of the Holy Beast quel forte senso di bestemmia cinematografica.

di Gianluigi Perrone

ZERO WOMAN:RED HANDCUFF


Capostipite di una saga che ancora oggi produce seguiti anche di dubbia qualità.Zero Woman Red Handcuff è probabilmente uno dei capisaldi dell'exploitation anni '70 giapponese. Nata dalle chine del mangaka Shinohara Tooru ,autore anche di un altro cult ispiratore di una lunga epopea di vendicatrici in gonnella,Female Prisoner Scorpion,Rei è una poliziotta tenace che riesce a stanare un pervertito ambasciatore politico(non per nulla occidentale),eliminandolo.La sua lungimiranza non sarà premiata,anzi verrà radiata dal corpo e imprigionata per omicidio a causa delle conseguenze diplomatiche che il caso crea.Rei dovrà subire le umiliazioni del carcere fino a quando non verrà richiamata alle armi come Zero Woman nel momento in cui la figlia del Primo Ministro viene rapita da un gruppo di sadici balordi.Infiltratasi nella gang,Rei scoprirà a sue spese la ferocia dei criminali che la sottoporranno a sevizie di ogni tipo per poi andare incontro alla feroce vendetta della Zero Woman. L'anima fortemente blaxploitation di Zero Woman Red Handcuff permea tutta la pellicola con una accento brutale e perverso sulle numerose scene di stupro che pongono l'accento sulla violenza feroce dei villain di turno.Un primo stupro di gruppo ai danni della ragazzina rapita,un secondo con scene di sodomia
selvaggia e il classico assalto al focolare familiare con una frenesia sessuale sanguinolenta senza pari.Oltre al sadismo sessuale si aggiungono le torture cruente come la sanguinolentissima morte dell'ingenuo fratello pentito di uno dei criminale,inorridito dall'insana ferocia dei compagni, per mano vendicativa dello stesso congiunto e lo spietato interrogatorio della polizia tramite fiamma ossidrica.La matrice fumettistica della pellicola si esplicita nella seconda parte quando i personaggi assumono caratteristiche macchiettistiche e sopra le righe,tra tutti l'eroina nella sua mise rossa su stivaletti neri e le manette in tinta che rotea nell'aria come un'arma micidiale. La fisicità di Miki Sugimoto è prorompente e l'attrice non lesina nel mostrare le sue grazie spesso straziate da mani avide e lussuriose.Yukio Noda firma la sua opera più famosa con una potenza visiva stupefacente e conferisce all'opera un lirismo che la innalza dalla mera produzione di genere.Zero Woman non tornerà più ai fasti della sua prima missione. Il numero zero di una saga intramontabile.

di Gianluigi Perrone