Friday, February 24, 2006

MEMORIES OF MURDERS di Bong joon-ho (2003)

Nel 1986,per i 5 anni successivi la provincia di Gyeonggi,nel cuore del Sud Corea visse nel terrore di un feroce serial killer cheincaprettava,violentava e infine strangolava le proprie vittime,durante le notti di pioggia,abbandonandole subito dopo l'atto criminoso.A tutt'oggi l'assassino è rimasto inpunito. A tre anni dall'ispiratissimo e divertente Barking Dogs Never Bite,Bong Joon-Ho si interroga delle cause di questa falla giudiziaria e,partendo da una piece teatrale che riprendeve gli eventi del tempo,si immerge in intenso thriller che cerca di ripercorrere le orme degli investigatori e di riflettere sulla condizione culturale e politica del proprio paese in quel periodo. La provincia coreana che ci viene mostrata è infatti fortemente conservatrice e ignorante,dilaniata dalla repressione di uno stato di polizia e dal compiacimento della stessa per i metodi spiccioli e violenza.In questa realtà rurale e per certi versi pura,operano il detective Park e il detective Cho,ottusi sbirri di provincia dai metodi spicci e dall'etica professionale praticamente nulla.Totalmente invisi a un tipo di indagine di questa portata,cercano di imporre come colpevole un povero ritardato(il bravissimo attore teatrale Park No-shik)arrivando a falsificare le prove.A loro viene affiancato l'ombroso e chandleriano detective Seo(Kim Sang-kyung),della polizia di Seul,che segue le indagini amorali dei colleghi con muta rassegnazione.Sicuramente un film di attori,Memories of Murder è un'altra prova eccelsa di Song Khang-ho,attore feticcio di Park Chan-wook e stupendo interprete di the Foul King al quale si affianca un bravo caratterista come Kim Roe-ah già in Barking Dogs ma anche in Whispering Corridors,H,Save the Green Planet e successivamente in A Bittersweet Life.Senza cercare di ripercorrere i passi dei modelli americani del thriller,Bong percorre la via della distensione e dell'ironia amara per tratteggiare i cambiamenti epocali di una nazione all'ombra di un evento macroscopico che investe una terra grezza.Un pò come per i migliori Fratelli Coen(quindi non gli ultimi),i detective sono immersi in una realtà msiconosciuti in balia degli eventi che non comprendono a causa di una ottusità non innata ma che poggia su sovrastrutture radicate profondamente nella società,in questo caso,coreana.E quindi vediamo i detective ironizzare ottusamente sugli omicidi su cui indagano mentre lo stato tiene la faccenda nel minimo interesse,prediligendo occuparsi di reprimere le lotte interne che ancora oggi fanno del suolo coreano un campo di controsensi evidenti.Volendo ricondurre a eventi nostrani,un pò come il delitto di Conge,quello del serial killer coreano è un caso viziato da indagini incompetenti e superficiali,immaturamente portato avanti da parvenu consenzienti.Un ritratto amaro di una piccola comunità che diviene universale grazie alla perizia con cui viene raccontato,andando a scomodare sfumature umane troppo spesso trascurate in un genere come il thriller.Questa centripeta modularità rende il lavoro di Bong estremamente esportabile e paradossalmente anche così intimo e personale.


di Gianluigi Perrone

BARKING DOGS NEVER BITE di Bong Joon-ho (2000)

Divertentissimo esordio del talento coreano Bong Joon-ho che riconfermerà in maniera completamente diversa in Memories Of Murder.Barking Dogs Never Bite,letteralmente "Can che Abbaia non Morde",è una finissima commedia indipendente sugli usi e costumi peggiori della società coreana che ben si prestano ad un'analisi più generale a conferma del proverbiale tutto il mondo è paese.Con una fine ironia nera Bong ci racconta le nevrosi metropolitane di personaggi comuni esasperati dallo stress.E quindi incrociamo le esistenze un assitente universitario frustrato e fallito che tenta di liberarsi dei fastidiosissimi cagnolini d'appartamento delle vicine,un assurdo omino delle pulizie che invece li fa sparire per cucinarli alla piastra mentre un barbone lo imita tentando di farne spiedini(ricordiamo che la cinofagia era ed è tutt'ora in alcune zone della Korea usanza comune).Il tutto crea la psicosi del "serial killer di cuccioli" che mette in moto una tipografa in cerca di notorietà a tutti i costi e un pò meno la sua pigrissima amica sovrappeso.Su tutto ciò sovrasta un grande condominio che nasconde le fisime,i soprusi,le gioie e i dolori della borghesia mediobassa metropolitana,su cui Bong ironizza con una compiaciuta scorrettezza politica.Ad accomunare Barking Dogs al successivo Memories è la priga alienazione dei personaggi che si lasciano trascinare dagli eventi più bizzarri senza reazioni apparenti se non minime o fuori luogo.Il cinismo sociale che guarda più al frivolo,al bene di consumo,all'oggetto di valore che si frantuma mentre viene perpetrato un atto amorale.Il tutto raccontato con buon equilibrio delle parti,dispensando divertenti leggende metropolitane come quella dell'assistente specializzato in Germania che finisce sotto la metro dopo una forzata serata alcolica in cerca di raccomandazione o del fantsma di Boiler Kim che vivrebbe negli scantinati e al quale Bong dedica uno dei momenti più goliardici del film.Una raffinata commedia delle parti che mantiene perfettamente gli equilibri e diverte ma ricerca anche un perchè senza tentare esagerati sofismi.

di Gianluigi Perrone

WALK THE LINE di James Mangold (2005)

A soli due anni dalla sua morte,Hollywood prepara un biopic dedicato alla vita di uno dei più significativi e controversi artisti del panorama musicale americano che visse un'ascesa di popolarità sempre crescente negli anni e rimase imperitura fino al decesso(and over...and over...).Walk the Line ripercorre il periodo più complesso della vita di Cash,dall'infanzia repressiva straziata dalla morte dell'amato fratello Jack all'esperienza in aereonautica durante la guerra,dai primi,difficili passi nel mondo della musica ai successi sui palchi di tutti gli States e conseguente a questa ascesa una progressiva caduta nella
tossicodipendenza.Soprattutto Walk the Line parla della storia d'amore sofferta tra Johnny e colei che diventerà il faro della
sua vita,sia professionalmente che umanamente,la cantante country June Carter.Il loro fu un continuo inseguirsi e un
rifiutarsi,una passione ostacolata sia lecitamente dal fatto che Cash era già sposato con figli,sia illecitamente dalla
dipendenza dalle droghe e dall'alcohol del "man in black".Il tutto racchiuso nell'evento clou della carriera di Cash,il concerto al Foltsom Prison.Il sottoscritto non nasconde di aver riposto molte aspettative nel progetto sin dai suoi primi passi proprio poichè fan accanito del mitico J.R. e la scelta degli interpreti Joaquim Phoenix e Reese Witherspoon fatta dagli stessi Johnny & June prima di morire sembrava azzaccata nonostante evidenti differenze somatiche.E non c'è dubbio che lo sforzo attoriale dei due(e dell'intero cast nel quale ci piace far risaltare la prova di Robert Patrick nei panni del burbero padre)sia stato notevolissimo con la Witherspoon in prima linea e Phoenix che ha raggiunto momenti di crisi estremi tale e tantal'immedesimazione.Eppure Walk the Line non raggiunge lo scopo e lascia l'amaro in bocca.Pulito,sontuoso e perfettino sembra il compitino a casa buono per il sabato pomeriggio in tv.James Mangold,alla sua occasione più importante dopo una serie di discreti lavori(Identity,Kate & Leopold,Ragazze Interrotte,Copland),scrive e dirige il film in maniera errata,statica e impersonale.Privo di virtuosismi tecnici,Walk the Line è un continuo primo piano sui due protagonisti e sulla stessa identica vicenda che snatura totalmente la vita di Cash.Uno spettatore non preparato sarebbe portato a credere che una personalità complessa come quella del "man in black" era in realtà la patetica esistenza di un povero imbranato senza spina dorsale totalmente assoggettato alla futura moglie.Dove sono le notti brave in tour con Jerry Lee Lewis e Elvis Presley(qui macchiettisticamente disegnati)?Dov'è la dipendenza dalla cocaina cantata in decine di canzoni(Cash usa delle fantomatiche pillole nere)?Soprattutto dov'è il lato nero di Johnny Cash che era sì riservato,chiuso e oppresso dalle umiliazioni paterne ma non certo un imbranato nerd di periferia?Phoenix indugia troppo sui sorrisi di circostanza che non ci immaginiamo proprio sul volto roccioso e sofferente del compianto cantante e fa pesare anche la totale mancanza di physique du role(Cash era altissimo,Phoenix un nanetto).Walk the Line non riesce a catturare il vero Johnny Cash e ciò che trapela dalle sue canzoni,riducendole solo a uno sfogo pseudoadolescenziale,non scava nelle vere radici del sound definito successivamente "americana".Troppo pulito,forse proprio perchè dipingendo una delle massime icone americane,pretendeva un plot che non rischiasse troppo,che non osasse nulla e che fosse fruibile alle famiglie con i suoi dialoghi terra terra,a livelli di Autumn in New York.Johnny Cash non era questo.Johnny Cash era sangue e polvere.E pensare che questa parte l'aveva inseguita a lungo
Michael MadsenForse un giorno salteremo nel cerchio di fuoco di nuovo.

di Gianluigi Perrone

Tuesday, February 21, 2006

A BITTERSWEET LIFE di Ji-woon Kim (2005)

Curioso il caso di Ji-woon Kim.Dopo un Two Sisters,evidente(ma elegante)surrogato del trend dell'horror asiatico,sposta il suo interesse verso il noir contro ogni previsione,dirigento questo A Bittersweet Life che,in maniera sontuosa come l'opera precedente,ricalca i passi del successo di un connazionale,Oldboy di Park Chan-wook.
La Vita Agrodolce del titolo è quella di Sunwoo(Lee Byeong- Heon) mite e taciturno,quanto letale bodyguard di un potente
boss della mala a cui il capo affida il controllo dei movimenti della giovane moglie Heesoo,in odore di tradimento. Il compito
di Sunwoo è quello di smascherare e riferire le presunte scappatelle della ragazza,il che equivale a una condanna a morte. Sunwoo però matura un sentimento profondo per la giovane e nel momento di scegliere decide di tradire il proprio capo. Questo gli costerà caro,innescando una macchina vendicativa inarrestabile alla quale Sunwoo scamperà non senza profonde cicatrici. A questo punto toccherà a lui consumare la sua vendetta.La sceneggiatura di Ji-woon Kim,di per sè non particolarmente originale,segue più che altro le mosse di Scorsese e Tarantino,citando quest'ultimo ripetutamente quasi a far man bassa di espedienti narrativi.E quindi il plot parte dal pericoloso boss che affida al suo "uomo migliore" la propria donna,il suddetto va in giro vestito da "iena" e le sue vicende si incrociano un pò troppo spesso con quelle della sposa di Kill Bill.Eppure è Oldboy la matrice principale di A Bittersweet Life.Non solo propriamente nella sceneggiatura ma in tutte le caratteristiche principali.La colonna sonora ricalca esageratamente quelle tipiche di Yeong-wook Jo,che ha musicato la trilogia della vendetta di Park e perfino la fotografia e la scenografia ricalcano quelle di Oldboy,tanto che troviamo il protagonista su un terrazzo,in un lurido corridoio e,nel finale,in bar(il La Dolce VIta,su un'attico di lusso.
E' forte il sospetto che A Bittersweet life sia un lavoro "su commissione" e evidente è il fatto cheJi-woon Kim non ha l'originalità e l'autorialità di Park. Di tutto ciò ci rimane comunque un lavoro avvincente,girato con invidiabili esperienza ed eleganza.A Bittersweet Life riesce a splendere di luce propria esattamente nel momento in cui si distacca dai suoi scomodi modelli e
manifesta le sue armi migliori nelle scene di azione pura.Tranne che per la protagonista femminile,Min-A Shin, che forse meritava un pò più di spazio,assolutamente non sacrificati i tanti caratteristi perfettamente in parte che rilevano un mosaico noir di polso mutuabile sicuramente a una visione Chandleriana del genere. Evidenti i riferimenti a Frank Costello-Faccia d'Angelo di Melville sin dall'inizio e dalla caratterizzazione del personaggio di Lee Byeong- Heon che fu di Alain Delon.Rimane il rammarico per la poca personalità che l'opera riesce a donare,penalizzando l'effettivo talento di Kim che,ricordiamo,vide il suo primo exploit in The Quiet Family,rifatto anni dopo da uno dei talenti più innovativi della vicina isola nipponica,quel Happiness of the Katakuris di Miike Takashi.

di Gianluigi Perrone

Wednesday, February 15, 2006

LE TRE SEPOLTURE di Tommy Lee Jones (2005)

Melquiades Estrada è un povero vaccaro che abbandona Jimenez,il paesino messicano da dove proviene,per arrischiarsi come clandestino oltre il confine col Texas dove,nel tempo,stringerà con il cowboy Pete Perkins un'amicizia sincera basata su valori che il mondo moderno non potrà più comprendere.Quando Melquiades verrà accidentalmente ucciso dalla guardia di frontiera Mike Norton,per Pete arriverà il momento di far valere una vecchia promessa.Questa a grandi linee è il soggetto di Guillermo Arriaga,già fortunato sceneggiatore dei successi di Innaritu,Amores Perros e 21 Grams(e del prossimo Babel)che anche questa volta palesa il suo stile personale nella frammentazione cronologica e la suddivisione in capitoli levigandolo sapientemente sui tronchi su cui si strutturavano i ruvidi western di Sam Peckinpah e
Monte Hellman.Lo stesso titolo originale(the Three Burials of Melquiades Estrada)ricorda da vicino un bel film di Peckinpah,Bring me the Head of Alfredo Garcia,riprendendone l'ambientazione messicana,la struttura del viaggio e il macabro feticcio umano che scatena le azioni.La regia poteva facilmente essere prevedibile se non fosse che dietro la macchina da presa ci fosse un nome come Tommy Lee Jones,quasi esordiente in quasto ruolo se si esclude un'altro western per la tv dal titolo di The Good Old Boys.Molto probabilmente senza neanche rendersene conto,Jones prende la strada più difficile,meditativa,sincera e per cui più giusta del vecchio western old style dall'ampio respiro di più di due ore,dove l'epopea
di Pete,interpretato dallo stesso Jones,e del suo prigioniero Mike Norton,un minimalista Barry Pepper,li porta in viaggio oltre il confine messicano incontro a un mondo che non esiste più.Infatti Le Tre Sepulture si dimostra una pellicola dal forte sapore nostalgico non sono nello stile scarno ed essenziale ma anche nei contenuti.Gli eventi si susseguono stanchi e ostinati in una realtà che non riconosce più alcuni valori essenziali che fanno di Melquiades e Pete dei sopravvissuti di un'altra era.Prigionieri di un tempo dove non c'è più posto per l'amicizia,la sincerità,il rispetto.Dove un vecchio cowboy non ha più un posto da raggiungere perchè la degenerazione ha raggiunto ormai il cuore di ogni uomo,anche il più sperduto.Significativa la presenza del televisore,visto come icone e fucina dell'idiozia umana che riesce a raggiungere anche un gruppo di peones nel mezzo del deserto.Lo stesso personaggio di Barry Pepper non è un "cattivo" tout court quanto piuttosto un imbecille qualsiasi senza nè arte nè parte.Un uomo senza presente.In questa realtà malata he lo rigetta come una infezione indesiderata,Pete si ostina fino al fanatismo a inseguire il desiderio più grande del suo compagno,a riportare l'umile uomo nella sua "isola che non c'è" dove,per quanto piccolo esso sia,ogni uomo ha diritto di guadagnare il riposo eterno.Tommy Lee Jones a 60 anni dà prova di grande lucidità e personalità soprattutto nonostante una prova non completamente matura come regista,valorizzando i propri attori compresi Pepper,la brava January Jones e soprattutto Melissa Leo,la cui interpretazione rappresenta tutto il concept del film,cioè che c'è una bellezza appassita nella natura che è consapevole di esserlo e ne soffre in silenzio.

di Gianluigi Perrone