Sunday, May 20, 2007

MEMORIES OF MATSUKO di Nakashima Tetsuya (2006)

C'è una maniera di esporre il dolore,l'umiliazione,la miseria in maniera delicata,spumeggiante ,colorata?C'è,è l'ossimoro estetico su cui si basa Memories of Matsuko,bellissimo quarto film di Nakashima Tetsuya,che dopo il successo di Kamikaze Girls,fa il salto di qualità e gira la sua opera più ambiziosa. La Matsuko del titolo è la zia mai conosciuta di Shou,che scopre della sua esistenza dopo che il padre gli rivela questo congiunto scomparso. Sappiamo sin dall'inizio che Matsuko è stata trovata morta,uccisa non si sa come,ma Shou è deciso a scoprire il colpevole e da qui comincia a unire i tasselli che ci portano a conoscere la vita della donna. Quella di Matsuko è la tragica storia di una ragazza mai accettata,nemmeno da sé stessa,che non ha il diritto di soffrire nemmeno in pace perchè ha una sorella malata che le fa continuamente da controaltare,che le ricorda sempre che qualcuno sta peggio di lei e le dà il tacito senso di colpa di chi deve resistere. Matsuko vive una vita umiliata da uomini che la maltrattano,la sfruttano e abusano di lei;balordi a cui lei si lega per disperazione e che la portano lentamente una overdose di sopportazione del dolore,che le fa perdere la testa. Eppure lei voleva solo essere amata. Memories of Matsuko è la riflessione sulla vita e la morte di un reietto,di chi ha perso la sanità e dei motivi toccanti perchè questa gente arriva ad annullarsi. La storia di una sensibilità portata alle estreme conseguenze. Del disperato bisogno di attenzione. Un film tragico e commovente che incredibilmente Nakashima decide di girare nella maniera più convenzionale possibile. Come un musical colorato e pieno di gioia,una storia completamente nell'ombra raccontata con il canto,la gioia e i colori della felicità. Così come ci aveva provato Sasanatieng ma arrivando ancora più in alto,perchè i toni sono più duri,perchè è una storia che tocca sul serio l'anima. Memories of Matsuko è uno di quei casi che indubbiamente fanno parlare di capolavoro,senza temere l'abuso del termine.

di Gianluigi Perrone

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