Max Seed è un serial killer e di quelli cattivi. Già il suo cognome fa capire quale sia la sua passione: guardare. A Seed piace torturare le sue vittime, lasciarle morire d’inedia per giorni, mesi, settimane davanti all’occhio spietato di una videocamera. Lo fa con donne, animali, persino neonati, che piangono, urlano e diventano polvere e ossa. Seed è il male, nulla può fermarlo, neppure la morte. Seppellito vivo dopo un’esecuzione il suo scopo sarà solo la vendetta più sanguinosa.
Questo nuovo horror di Uwe Boll cerca di superare un record: mettere in scena degli omicidi mai così sanguinosi in un’ottica della violenza voyeuristica che tocca su due piani prima l’assassino e poi noi spettatori. Fin dalle prime scene dove il killer assiste ad un esecuzione di volpi (materiale di repertorio naturalmente) si capisce che non siamo capitati nel solito horror game movie alla Uwe Boll con sparatorie infinite e zombi saltellanti. No, in “Seed” siamo all’inferno, un universo pieno di torture e sangue che scorre copioso. Se esiste un’estetica della morte nel nuovo cinema americano va cercata non tanto nei vari Hostel, ma in questo nuovo lavoro del regista teutonico. Il film è pervaso da un’atmosfera disperata, crudelissima. Ecco, appunto è la crudeltà a farla da padrone in una messa in scena sadica e spietata degli omicidi che non cadono mai nel bestiale inumano, ma in una sorta di nichilismo nei confronti della vita. “Seed” è un film autardiano dove la tortura è soprattutto crudele attesa di essa. Boll gira benissimo, con uno stile nervoso e la prevalenza della macchina a mano, sceglie ambienti malsani, oscuri, tagliati dai flash delle torce dei poliziotti nella sua opera più feroce, quasi riflesso d’animalesca rivolta verso tutti quelli l’hanno catalogato come regista pessimo e superficiale. In “Seed” esiste una sorta d’atemporalità nel narrare la vicenda: gli anni 70 sembrano mischiati ad elementi attuali in una sorta di postmoderno narrativo che serve a donare alla vicenda un’aria ancora più folle. “Seed” non è un film moralista, ma anzi si limita a mettere in scene omicidi in maniera quasi documentaristica e perché no pornografica senza prendere posizioni ne’ verso i buoni né berso il malvagio assassino. E’ un personaggio positivo il poliziotto che sotterra vivo il killer ancora vivo? O lo sono i secondini che prima di essere brutalmente asassinati da Seed lo umiliano? Seed è il lato scuro di ogni spettatore, la sua fama di vedere è oltre i talk show, oltre i film horror, oltre i documentari shock. Stupisce poi un finale plumbeo come pochi e con tocchi di bellezza estetica come la bambina urlante nell’occhio del padre. Il cast è ottimo, Michael Parè regala la sua performance più bella e sofferente da tanto, tanto tempo. Da vedere senza dubbio per poter rivalutare finalmente il nome di Uwe Boll. Lunga vita al re.
NB Circola su internet una versione di Seed da 79 minuti mortalmente tagliata da pesanti censure. Manca tra le altre cose una ferocissima sequenza dove Seed uccideva una vecchia a martellate. I tagli poi sono stati inferti con tanto dilettantismo da rendere a tratti incomprensibile la vicenda. Statene alla larga.
Questo nuovo horror di Uwe Boll cerca di superare un record: mettere in scena degli omicidi mai così sanguinosi in un’ottica della violenza voyeuristica che tocca su due piani prima l’assassino e poi noi spettatori. Fin dalle prime scene dove il killer assiste ad un esecuzione di volpi (materiale di repertorio naturalmente) si capisce che non siamo capitati nel solito horror game movie alla Uwe Boll con sparatorie infinite e zombi saltellanti. No, in “Seed” siamo all’inferno, un universo pieno di torture e sangue che scorre copioso. Se esiste un’estetica della morte nel nuovo cinema americano va cercata non tanto nei vari Hostel, ma in questo nuovo lavoro del regista teutonico. Il film è pervaso da un’atmosfera disperata, crudelissima. Ecco, appunto è la crudeltà a farla da padrone in una messa in scena sadica e spietata degli omicidi che non cadono mai nel bestiale inumano, ma in una sorta di nichilismo nei confronti della vita. “Seed” è un film autardiano dove la tortura è soprattutto crudele attesa di essa. Boll gira benissimo, con uno stile nervoso e la prevalenza della macchina a mano, sceglie ambienti malsani, oscuri, tagliati dai flash delle torce dei poliziotti nella sua opera più feroce, quasi riflesso d’animalesca rivolta verso tutti quelli l’hanno catalogato come regista pessimo e superficiale. In “Seed” esiste una sorta d’atemporalità nel narrare la vicenda: gli anni 70 sembrano mischiati ad elementi attuali in una sorta di postmoderno narrativo che serve a donare alla vicenda un’aria ancora più folle. “Seed” non è un film moralista, ma anzi si limita a mettere in scene omicidi in maniera quasi documentaristica e perché no pornografica senza prendere posizioni ne’ verso i buoni né berso il malvagio assassino. E’ un personaggio positivo il poliziotto che sotterra vivo il killer ancora vivo? O lo sono i secondini che prima di essere brutalmente asassinati da Seed lo umiliano? Seed è il lato scuro di ogni spettatore, la sua fama di vedere è oltre i talk show, oltre i film horror, oltre i documentari shock. Stupisce poi un finale plumbeo come pochi e con tocchi di bellezza estetica come la bambina urlante nell’occhio del padre. Il cast è ottimo, Michael Parè regala la sua performance più bella e sofferente da tanto, tanto tempo. Da vedere senza dubbio per poter rivalutare finalmente il nome di Uwe Boll. Lunga vita al re.
NB Circola su internet una versione di Seed da 79 minuti mortalmente tagliata da pesanti censure. Manca tra le altre cose una ferocissima sequenza dove Seed uccideva una vecchia a martellate. I tagli poi sono stati inferti con tanto dilettantismo da rendere a tratti incomprensibile la vicenda. Statene alla larga.
di Andrea Lanza
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