Wednesday, April 16, 2008

Heart of America (2003) di Uwe Boll


Titoli di testa.
Il corridoio è buio. Siamo in una scuola. La telecamera di sorveglianza inquadra dall’alto una sagoma scura che si avvicina. Fotografia sgranatissima da documentario di guerra. La musica è un sottofondo di classica che spazza da Mozart a Vivaldi. La figura ora la possiamo vedere in tutta la sua interezza: è un ragazzo giovanissimo, punta il fucile a pompa contro i nostri occhi. Bam. Musica metal pesantissima. Comincia il massacro.

La pellicola girata nel 2003 e ispirata alle sanguinose vicende del massacro di Colombine è il primo passo per Boll per emergere dalla massa dei registi direct to video, il suo tocco in quest'opera ricorda il precedente “Amoklauf” dove la solitudine sfociava in violenza disperata. Il suo film vale più del famoso “Elephant di Gus Van Sant” o del cinico “Bowling of Columbine” di Michael Moore. Dove Gus Van Sant si perde in un formalismo estetico a base di carrellate o soggettive insistite, di inutili scene gay, “Heart of America” è soprattutto un dramma dai toni quasi elisabettiani che riesce davvero a parlare con sincerità di una tragedia tanto grande. La regia di Boll rispetto a Van Sant è più sensazionalista certo, ma anche più efficace, non si perde in una sorta di carineria auto contemplativa, ma arriva dritto al nodo del dramma con scene efficaci e un alto tasso di introspezione psicologica dei personaggi. Anche il reparto attori è in stato di grazia con delle ottime perfomance di Clint Howard, Michael Parè e un inedito Jurgen Prochow nel ruolo di un padre disperato. Boll è un regista tedesco, quindi estraneo ai fatti, riesce a guardare con sguardo alieno il sistema americano che sottomette e cannibalizza i propri figli. Tra Mac Donald’s e Blockbuster la strage si compie, l’odio adolescenziale esplode graficamente con perizia balistica contro i nostri stessi simili. Cane mangia cane. Siamo nella stessa America che ha creato la Tiger force in Vietnam, che ha nascosto il plutonio nelle vene di Eda Schultz Charton. L’ultima frase prima di uno sparo in “Heart of America” è “Ti odio madre”. Bam. Di questo sangue siamo tutti sporchi.

“Heart of America” è un calcio violento. Molto più cattivo, disincantato e anarchico di qualsiasi altra cosa ci saremmo aspettati. Ed è abbastanza esplicativo di come in Italia un film del genere non sia mai uscito neppure nelle ore più scure. Più facile ridere di morti viventi tranciati da effetti alla “Matrix” che portare nelle nostre case l’orrore più scomodo e reale. Pulp fiction in salsa combat film. L’orrore siamo noi. Sempre.

di Andrea Lanza

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