Wednesday, April 16, 2008

Bloodrayne (2005) di Uwe Boll


Dopo il flop di “Alone in the dark” Uwe Boll torna sempre a girare trasposizioni di videogame, ma in maniera più classica, con sceneggiature più articolate rispetto ai due film precedenti. “Bloodrayne” è il suo lavoro successivo, un’opera non esente da difetti, ma molto affascinante nel fare, come sempre nel cinema del regista, terrorismo con la maniera trattata. La storia del videogame, ambientata in epoca nazista, viene rispettata in parte, ma le libertà sono evidentissime a partire dalla cornice medioevale fino al cotè inedito di dramma familiare tra figlia e padre vampiro. Il risultato finale ricorda un ibrido tra i pupazzoni di “Buffy l’ammazzavampiri” e il romantico videogame/gioco di ruolo “Vampire the masque rade redemption”. Caso quasi unico nella filmografia del regista, il film è violentissimo con effetti speciali sanguinosissimi curati dal collega Olaf Ittenbach. E’ la sagra degli arti tagliati, delle teste decapitate, soprattutto nella director’s cut che amplifica queste scene shock in un nuovo finale che ripropone in pezzi più spinti delle scene horror. Boll azzecca il cast con un gruppo di attori che avrebbero fatto invidia a Tarantino: Michael Madsen, Michelle Rodriguez, il premio Oscar Ben Kingsley. A primeggiare su tutti la stupenda Dhampyra (metà umana e metà vampira) Kristanna Locken che ci regala sia una scena di sesso anomala contro le sbarre di una cella sia vari umori lesbo quando fronteggia belle fanciulle. Uwe Boll dimostra di avere una regia perfetta per il fantasy e costruisce una scena almeno da applauso: la fuga di Bloodrayne dal circo dove flashback e flashfoward si intrecciano. Se per assurdo è proprio il celeberrimo Kingsley ad essere il meno convincente del cast, con faccette da avanspettacolo, per il resto tutto fila liscia o quasi. I già accennati effetti speciali, truculenti come non mai, sono infatti abbastanza brutti e non molto convincenti, soprattutto a reparto make up. Ma “Bloodrayne” , pur se non possedendo la forza anarchica di un “Alone in the dark”, è molto piacevole e regala uno spettacolo d’altri tempi che avrebbe meritato più successo di quello che realmente ha avuto. Ma si sa i geni sono incompresi.
di Andrea Lanza

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