Wednesday, December 26, 2007

Home of the brave (2006) di Irwin Winkler




Drammone militare americano al cento per cento nel peggiore dei modi: patriottico, strappalacrime, superficiale, dalla confezione extra lusso. La storia cerca di focalizzare l’attenzione non su una guerra reale, ma una intima, psicologica che continua anche quando la vera guerra è finita. Come dire che l’inferno non è solo nelle trincee, ma proprio nel ritorno a casa dei soldati americani. Come in “Rambo” il militare si trova un paese che non lo rispetta, lo teme forse e per questo non lo aiuta ad inserirsi. E se nel capolavoro di Kotcheff Silvester Stallone imbracciava le armi contro l’intera nazione che un tempo lui aveva servito, qui invece sembra che l’unica scappatoia per sconfiggere i propri demoni sia tornare a fare il soldato. Come diceva il bellissimo “Dust” di Milcho Malchevsky “Una volta puttana sempre puttana” così il reinserimento nel reale di tutti i giorni per i soldati è solo utopia, bisogna “aspettare un nuovo ritorno pregando e così una partenza”. Filosofia spicciola e buonista che butta alle ortiche i drammi sviluppati prima come il dottore alcolizzato (un ottimo Samuel Lee Jackson) o la militare dalla mano amputata (la bella Jessica Biels). I personaggi vengono dimenticati dall’occhio distratto del regista Irwin Winkler come l’ex ragazzo della Biels che appare e sparisce quasi senza perché e si scelgono le strade facili del dramma familiare che sfocia nel bene o nel male nell’happy end più vomitevole. Stilisticamente neanche malvagio, con un bel prologo in Iraq che fa respirare realmente sangue, ferite e proiettili, ma poi tutto si squaglia senza possibilità di salvare nulla di realmente buono. Una battuta carina comunque: “Vaffaculo Bush? Si, vaffanculo lui e pure te, figlio di puttana” detta da Jackson ad un preside troppo conservatore. Grande Samuel, peccato il film.

di Andrea Lanza

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