Thursday, December 13, 2007

Il buio dell'anima (2007) di Neil Jordan



Il buio dell’anima si presenta fin da subito come film d’autore che si addentra nei meandri di un genere volgare, quello dei giustizieri, per glorificarlo artisticamente. Niente di più sbagliato se ci si deve rapportare con un capolavoro di portata titanica come “Il giustiziere della notte” di Michael Winner con l’immenso Charles Bronson. Il film di Neil Jordan infatti ne è il remake non dichiarato, molto ben girato, ma pedissequo nel seguire lo stesso schema del film del 1972 banalizzando di molto i contenuti. L’architetto Paul Kersey bronsoniano cede il posto ad una dj in procinto di sposarsi con l’aitante fidanzato (il Said di Lost in pausa pranzo dal suo serial tv), nulla di più. Sarebbe stato interessante vedere come la stessa storia poteva svilupparsi in maniera diversa sotto un’ottica femminile, invece stessa solfa: nel film di Winner stupro e omicidio della moglie del protagonista, qui nel 2007 in aria di politicamente corretto solo pestaggio dei due fidanzatini. Lei oltretutto conciata malissimo, con il volto deturpato sembra a vita, in soli due giorni torna più bella e fresca di prima. Scadente inoltre la componente psicologica che riassume il dolore di una perdita nella materializzazione extrauterina di pene-rivoltella che eiacula vendetta. Come diceva anni fa Carlos Saura in un brutto film: “Spara che ti passa”, ma qui siamo a livelli assurdi, con due gocce di lacrime versate, una notte insonne, un sogno erotico, la bella dj sembra aver dimenticato il suo bel Said, tanto da restare affascinata in quattro e quattrotto da un altrettante aitante poliziotto con matrimonio rovinato alle spalle. Il film diventa disastroso poi quando cerca di materializzare quello che Winner mai aveva raccontato, il trovarsi davvero faccia a faccia con chi ti ha rovinato la vita. Nel "Giustiziere della notte" Bronson uccideva chi poteva essere l’assassino della moglie, ma senza, incubo forse ancora più terribile, riuscire a trovarlo. Lei invece, vera catalizzatrice di sfighe umane, si trova soltanto passeggiando per strada ad essere testimone di omicidi brutali o peggio. Poi, colpo di genio della sceneggiatura, non manca neanche il fortuito faccia a faccia con un ricchissimo industriale uxoricida che, caso del destino, a lasciato a casa la sua scorta personale. Il finale è da antologia della demenza poi con una trovata finale che esalta l’omicidio e traccia linee impossibili tra sbirri e vigilantes. La Foster comunque in questo guazzabuglio dal sapore vagamente lesbo è bravissima, peccato che il film non lo sia altrettanto. Fastidioso.


di Andrea Lanza

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