Il segreto sta nel "come".Come sia possibile che Spike Lee dia le sue prove migliori ogni volta che si avvicina al genere rispetto alle sue escursioni alte sulla mid-class coloured(e non)newyorkese. Intendiamoci,Inside Man non raggiunge le vette
sublimi di un "la 25a Ora" o "Summer of Sam" ma diventa il mezzo con cui si può apprezzare al meglio l'immenso talento stilistico del regista.L'"anima nera" di Brookling per la prima volta si spinge su un terreno sdrucciolevole come quello
dell'action commerciale,con nomi da cartellone altisonanti e plot decisamente catchy ma riesce a plasmarlo sapientemente a sua immagine senza,per fortuna,quasi mai strafare.
La sceneggiatura dell'esordiente Russell Gewirtz,precedentemente proposta a Ron Howard è pressochè perfetta,nella sua semplicità. Lo scrittore non fa altro che comporre sapientemente l'architettura di quella che a tutti gli effetti è la rapina perfetta. Dall'oscurità di una cella,il protagonista rapinatore ci invita presuntuosamente a osservare che il "dove","quando" e "perchè" del suo atto criminoso siano pressochè ovvi ma è il "come" la chiave del gioco. Un gruppo di rapinatori entrano in una banca armati e travestiti ed invece di portare via il denaro si chiudono dentro con gli ostaggi e li fanno vestire tutti come loro. A questo punto sono tutti colpevoli e nessuno è innocente. Il gioco però,scende molto più in fondo,verso trame che affondano la loro origine in eventi oscuri appartenenti a un passato sepolto.
Quello che poteva essere solamente un buon thirller diventa "a Spike Lee Joint" nel momento in cui nella vivida cornice di Manhattan,il carosello di razze,religioni e culture che la popolano entra in conflitto su un fatto macroscopico che smuove le vite dei protagonisti di questa nostra era. Al di là degli ormai caratteristici carreli,riprese frontali e movimenti di camera che da sempre sono il marchio di fabbrica di Lee,sono le ellissi umane che si intrecciano nella vicenda a rendere palese che ci si trovi davanti a un lavoro del regista newyorkese. Come in ogni suo lavoro i protagonisti folleggiano sullo schermo,con il solito Denzel Washington che incarna ogni dettame della cinematografia di Lee lasciando però lo scettro di vero vincitore a Clive Owen,che dà una prestazione quasi prettamente mimica dato che recita quasi sempre col volto coperto. Sono le sottotrame dei personaggi secondari però a caratterizzare il circo. Il ragazzino che parla come un gangsta rapper,il poliziotto xenofobo e menefreghista,il Sihk comicamente preso per arabo e maltrattato dalla polizia sono i punti dove Lee ci dice "questa è New York,la Babilonia dell'Era Moderna".Come non poteva mancare il riferimento politico celato forse un pò troppo per un pubblico europeo ma eclatante in patria. E' chiaro che le figure di Christopher Plummer e Jodie Forster(brava chiaramente ma anche inusualmente sexy)siano state aggiunte in un secondo tempo nella sceneggiatura per sottolineare i poteri occulti e i criptomeccanismi della classe dirigente americana che muove il suo potere su ingranacci che macinano carne umana senza alcuna pietà.Senza voler rivelare troppo,è curioso come il personaggio di Plummer sia chiaramente inspirato al nonno
dell'attuale presidente degli Stati Uniti,per cui padre di George Bush Senior,che creò il suo impero finanziario nella stessa maniera dell'uomo d'affari nel film. Uno scandalo che vuol far riflettere su come gli attuali poteri che dirigono gli USA e il
mondo si poggino tranquillamente su un enorme manto di carne morta e sul fatto che la corsa al potere senza alcuno scrupolo sia un evidente vizio di famiglia. Forse il film si perde un pò in un finale troppo didascalico e francamente eccessivamente
risolutore ma modula,nell'ultima immagine,tutta l'ironia e personalità di un autore così istrionico.
di Gianluigi Perrone
Wednesday, May 10, 2006
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