
dà la sua personale soluziona all'interpretazione del mito del criminale Gu. Corneau gira Le Deuxième Souffle come fosse ancora negli anni '60, con una macchina mobile, con dialoghi intelligenti,ispirati, ,complessi come era ancora nel cinema che facevano gli storytellers, andando totalmente contro la commercialità dell'opera. La stessa recitazione si basa volutamente su stereotipi del passato (e questo si nota ancora di più su alcune comparse)L'indistruttibile criminale Gu, disperato, inarrestabile, idealista stavolta è Daniel Auteil, un po' troppo inflazionato
ultimamente che è una nota stonata del film insieme alla Bellucci che,nonostante l'impegno,non è per nulla a suo agio bionda(e posticcia) nei panni di Manouche, personaggio che nel film di Melville, così duro e pratico, non aveva trovato spazio nella trasposizione. L'anima del film è nei coprimari, Michel Blanc,Philippe Nahon,Jacques Dutronc sono facce da noir e i loro personaggi dipingono il mondo oscuro e corrotto della Parigi anni '60. Corneau tende a rendere irreale la città con colori intensi e polposi, la pellicola è un racconto e un sogno noir soprattutto basato sui caratteri che vi si muovono all'interno. Il regista interpreta la forza di Melville attraverso la modernità nelle sporadiche scene d'azione, filtrandola attraverso l'occhio dell'action di Hong Kong e soprattutto di Johnny To. Infatti la regia prende una strada diversa proprio quando le pistole cominciano a strillare, con alcuni dei colpi in arrivo più cruenti che si siano visti, con pelle e pezzi di osso che saltano via. La componente gore del film, sì gore, arriva inaspettata ed intenza
soprattutto nella seconda parte dove le due anime del film collidono più in equilibrio. Nonostante la lunghezza del film è giustificata dagli eventi, ci si chiede se abbia senso un remake che cerca di imitare lo stile narrativo di un tempo che non c'è più.
di Gianluigi Perrone
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