Sunday, July 15, 2007

DRIVE IN 2000 (Dead End Drive In) di Brian Trenchard-Smith (1986)

Ne “La notte del Drive – In” quell’immenso scrittore americano che risponde al nome di Joe Lansdale immaginava una umanità costretta a vivere e sopravvivere all’interno dell’angusto spazio di un drive – in.
Stesso scenario ce lo offre Brian Trenchard-Smith in questo piccolo cult degli anni ’80.
Il punto di partenza,non è ,però, l’horror comico di Lansdale,ma il solito mondo post-atomico,sconquassato dal caos e dalla violenza.
In questo universo,popolato da punk,auto corazzate e luci al neon,si muove il protagonista, Crabs,un giovane mingherlino e sveglio.
L’incubo comincerà in una notte passata nello “Star Drive-in”,un posto colorato ed affollato alla fine dell’autostrada.
Qui, Crabs,in compagnia della sua ragazza,si ritroverà prigioniero,costretto da alti muri recintati e fili spinati e con l’alta tensione,insieme ad una larga giovane umanità che convive, obbligatoriamente,passando il tempo a guardare film e a ciondolare in giro.
Un lager controllato dalla polizia e da un uomo grassoccio e dimesso che bada che le bobine dei film vengano cambiate e che i ragazzi siano distratti da svariati “divertimenti”.
La sete di libertà di Crabs,però, lo porterà a cercare di scappare,prima ricostruendo la propria auto e poi,affrontando i propri carcerieri.
Il drive-in è metafora,per nulla celata, della società moderna,con, da una parte, lo Stato carceriere,rappresentato dai poliziotti e dall’altra parte una gioventù allo sbando, che accetta di buon grado di essere ghettizzata e reclusa in cambio della sicurezza di un pasto caldo e di un po’ di divertimento, offerto dalle droghe e dall’ alcool,elargito generosamente dalla polizia stessa.
La critica sociale è sempre presente quando viene rappresentata la tensione tra i diversi gruppi etnici all’interno del cinema-lager,con i prigionieri che pensano ad odiarsi tra loro per ragioni razziali,invece di ribellarsi contro chi li tiene in gabbia.
Per tutto il film si respira l’atmosfera degli anni ’80,tra assordanti canzoncine pop e un panorama desolato,quasi cyberpunk,ma, al tempo stesso, coloratissimo di luci e di graffiti.
Il cinema australiano ancora protagonista della fantascienza post-atomica,dopo il successo dei vari Mad Max.
In particolare il regista Trenchard-Smith ha nel proprio curriculum una filmografia tutta tesa a questo tipo di tematiche,sempre infarcite di umorismo e critica sociale,dal lungometraggio “Turkey shoot”, fino ad “atomic dog”.

di Andrea Scalise

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