Con Challenge of the masters, secondo film come regista dopo il fortunato debutto di The spiritual boxer, Liu Chia-liang rende omaggio al personaggio “mitico” di Wong Fei-hung (1847-1924): eroe nazionale cinese, maestro di Kung fu, insegnante e guaritore. Sempre pronto a difendere i deboli e gli oppressi, esperto dello stile Hung Gar (proveniente da Shaolin del sud) insegnatogli dal maestro del padre, nonché creatore della la forma "tigre-gru" e delle combinazioni di combattimenti conosciute col nome "nove colpi speciali ". Purtroppo, a seguito della morte di uno dei suoi 10 figli si ritirò dal mondo delle arti marziali giurando di non insegnare più. La storia cinese è piena d’eroi che si battono in difesa dei più deboli: potrei citare le “10 tigri di Kwantung” combattenti che giurarono di vendicarsi dei Manchù e restaurare il dominio dei Ming (tra le 10 tigri vi era il padre di Wong Fei-hung). E’ normale quindi che un personaggio del genere potesse essere protagonista di decine e decine di pellicole, la maggior parte delle quali purtroppo andate perse. Liu Chia-liang -che in questo film si è ritagliato il ruolo di villain- ha imparato le arti marziali dal padre: allievo di Lin Shi-yung discepolo di Wong Fei-hung, quindi posso immaginare con quanto rispetto si sia avvicinato alla leggenda di quest’ultimo, cercando di non tradirne lo spirito e gli insegnamenti -per quanto sia possibile fare in un film-. Si parte alla grande, i titoli di testa scorrono mentre Gordon Liu e Chen Kuai-tai in uno studio bianco con ideogrammi sulle pareti, si esibiscono nel Kung Fu “Hung Gar”, comprendente le forme dei 5 animali: tigre, gru, serpente, drago e leopardo, e i 5 elementi, legno, acqua, terra, fuoco e metallo (penso sia uno degli stili più usati o quantomeno più famosi in questi film). Ad accompagnarli in questa danza marziale il tema musicale tipico di Wong Fei-hung, che già conosciamo a memoria grazie anche ai film Once upon a time in China di Tsui Hark, mentre una voce fuori campo menziona le peculiarità degli stili proposti dai due atleti. L’enfasi espressa sui volti dei due attori e lo sforzo fisico per eseguire al meglio le forme è notevole, così come il montaggio che grazie ad un uso d’inquadrature appropriate rende il tutto fluido e armonioso come l’acqua, ma allo stesso tempo impetuoso e potente come questo stile deve essere. Tutta la storia gira intorno ad un torneo cosiddetto “PAO” dove si sfidano tutte le scuole d’arti marziali: la vincitrice deterrà il “potere” e il prestigio di tale vittoria. Wong Fei-hung (Gordon Liu) è un giovane dal temperamento caldo, per questo motivo il padre non lo prende come allievo nella sua prestigiosa scuola. La vita non è facile per il figlio di Wong Kai-ying gran maestro d’arti marziali ed eroe popolare, un giorno dopo l’insistenza di un amico paterno, Wong Fei-hung inizierà l’apprendistato dal gran maestro, già istruttore di famiglia. L’ allenamento durerà 2 anni, nei quali il ragazzo crescerà sotto il profilo tecnico-fisico, ma soprattutto imparerà a conoscere se stesso e controllare i propri istinti. La conoscenza approfondita delle arti marziali porta ad una maggior consapevolezza delle proprie capacità e ad una comprensione maggiore degli altri, insegnamenti che trasformano il ragazzo in un uomo, tanto chè, al suo ritorno dopo aver scoperto dell’uccisione dell’amico paterno, decide di vendicarsi. Il duello è emozionante, si svolge in un bosco di canneti, lo stesso dove il killer (Liu Chia-liang) ha già ucciso l’amico del padre, lo scontro è furioso, nonostante lo stile dell’assassino Ho Fu sia letale, Wong Fei-hung riesce a sopraffarlo e a controllarsi prima del colpo letale, consegnandolo in fine alla giustizia. Questa è la netta differenza tra questo film e uno di Chang Cheh dove il sangue chiama sangue, dove la vendetta è 100 volte più atroce dell’atto dal qual è scaturito. Wong Fei-hung dà prova di aver imparato i precetti base dei suoi studi, e nel finale addirittura fa sì che il torneo del “Pao” finisca in parità, in modo così, da far riappacificare tutte le scuole. Un finale positivo e per una volta di speranza, in un futuro dove la convivenza è possibile, un futuro in cui la collaborazione tra i più forti porta alla stabilità (almeno così in teoria, come sappiamo la pratica è un’altra cosa). Liu Chia-liang è un regista vero, non un semplice coreografo di scene d’azione prestato alla regia, ha un suo concetto ben chiaro di rappresentazione, non solo per quanto riguarda i combattimenti, ma anche le così dette scene di raccordo tra una scazzottata e l’altra. Crea inquadrature visivamente affascinanti, quasi fossero dei quadri, dispone la telecamera in posti sempre differenti dando ricchezza a scene che altrimenti sarebbero sciatte, usa il montaggio in modo chiaro e lineare creando armonia in scene di lotta complesse, studia coreografie sempre diverse spiegando di che stile si tratta, facendone capire i pregi ed i difetti, insomma una gioia per chi ama questi film, ma anche per gli appassionati (come il sottoscritto) d’arti marziali. Liu Chia-liang è un vero maestro della filosofia del combattimento oltre che un ottimo regista d’indiscutibili capi saldi del genere, è un peccato che il suo nome non venga “quasi” mai menzionato al pari d’altri registi forse più discontinui, non dimentichiamoci che le coreografie dei migliori wuxia pian e gong Fu pian dell’epoca portano il suo indiscutibile marchio.
di Marco Figoni
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