Solito Decoteau con maschioni abbronzati e muscolosi intenti a mascherare dietro il cameratismo la loro omosessualità. Horror gay per pubblico etero in una sorta di edonismo che appaga soprattutto l’occhio marpione del regista. Ma meno peggio del solito. L’intreccio assomiglia sì ai soliti “Stirpe di sangue” e compagnia brutta, ma l’idea di trasformare una boy band alla Thake That in un gruppo di zombi affamati di carne e sangue non è male. Certo gli effetti speciali sono risibili e brutti (un po’ di cerone e lattice fanno sorridere altro che spaventare) e i siparietti musicali sono davvero tremendi, eppure lo sviluppo non è noioso e si denota una certa voglia in Decoteau nel cercare una regia un po’ diversa, meno televisiva. Sono passi incerti di un bimbo maldestro e sicuramente il regista più gay del panorama horror non peccherà mai di virtuosismo o bravura, ma sono comunque tentativi da lodare. Il cast è anonimo come sempre, ma spicca la presenza luciferina della divina Adrienne Barbeau (Creepshow). Il resto è il solito siparietto di ragazzoni in boxer e petto rigorosamente oliato per far risaltare i muscoli. Il poco spazio dato all’universo femminile si risolve o in ragazzine arrapate prima e poi urlanti o in ambigue traditrici: come dire che delle donne è meglio non fidarsi se hai già degli amici. D’altronde gli pseudo Thake That fanno sesso solo in gruppo e non accettano che i membri della band possano appartarsi da solo con delle “femmine”. Una curiosità di fondo poi per tutti i lettori di fumetti italiani: l’idea della pelle staccata non ricorda il mitico numero 7 di “Dylan dog”, quel capolavoro romantico zombesco de “La zona del crepuscolo”? Vedere per credere, forse Decoteau o chi per lui scrive ha acuto in mano un albo del nostro indagatore dell’incubo. Idea non folle oltretutto visto lo smisurato interesse dell’italiana Mediafilm per questo ambiguo regista. Il film non è da buttare e nella filmografia di Decoteau ha un posto di riguardo, ma attenzione è poca cosa, da vedere e sicuramente da dimenticare.
di Andrea Lanza
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