Sunday, February 03, 2008

Cemento armato (2007) di Marco Martani


Sono lontani i tempi in cui Fernando Di Leo girava noir sapientemente orchestrati sul piano della violenza, dell’intreccio, dell’azione. Ora a distanza di più di trent’anni da quel capolavoro che era “Milano calibro 9”, il cinema italiano si riaffaccia allo stesso genere senza avere né le capacità né un adeguato cast. Nelle mani di Di Leo “Cemento armato” sarebbe stato una bomba ad orologeria, qui invece abbiamo un’occasione sprecata. Non che il film sia questo gran cane come tutti ne parlano, “Cemento armato” è sicuramente interessante sotto più fronti, ma è anche operazione sbagliata a cominciare dall’idea insulsa di voler far rincontrare i due attori principali de “La notte prima degli esami” in salsa pulp. Vaporidis in primis è improponibile come delinquentello da strada, potrebbe ricordare alla lontana il Giancarlo Prete di “Il cittadino si ribella”, ma manca completamente di nerbo, di prestanza fisica, di forza recitativa. Lo stesso Giorgio Faletti, nelle vesti del boss mafioso, con la sua nocetta nasale da prete, con i suoi occhioni sbarrati che si vorrebbe feroci e invece ricordano le migliori performance di Abatantuono terruncello nei film dei Vanzina, è al di là del bene e del male, disastroso senza appello. La controparte femminile, Carolina Crescentini (già nel cast di “La notte prima degli esami oggi” sempre con Vaporidis), è anonima, fuori parte, non riesce mai a toccare corde drammatiche anche quando il suo personaggio lo richiederebbe. Questo pseudo attori dovrebbero imparare da Ninetto Davoli, che pur stando in scena una mezz’ora scarsa, regala un altro grandissimo personaggio disperato, quasi pasoliniano. Di buono restano i dialoghi tarantiniani del killer Said, l’idea di una Roma di cemento armato (bel titolo comunque), le esplosioni di violenza efferrata (l’omicidio dell’amico albanese del protagonista e l’uccisione di un sicario con un posacenere) e poche cose. La trama poteva essere sviluppata meglio con quest’ordine di farla pagare ad un delinquentello di mezza tacca che poteva ricordare “La mala ordina” di Di Leo, invece viene il dubbio che al regista dei film di genere non gliene freghi più di tanto, che si cerchi l’autorietà in un contesto popolare. Improponibile sia il finale drammaticamente cercato sia l’idea di una polizia italiana alla “Shield”. Per non parlare delle atroci musiche pop. Dov’è Stelvio Cipriani?
di Andrea Lanza

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