Se guardiamo i trailer promozionali di The Village (inizialmente The Woods, poi cambiato per omonimia con il film di Lucky McKee) ci rendiamo conto del fatto che si volesse vendere il film allo spettatore come un horror oscuro. Da qui forse il disappunto di alcuni nei confronti di un film che ancora una volta è una svolta nella carriera di Manoj Shyamalan. In The Village Shyamalan prende ulteriore coscienza delle sue capacità e soista il suo lavoro certosino verso una poetica chiara ed umanistica, che trascende notevolmente dalla trilogia sovrannaturale prodotta in passato. Il villaggio in mezzo ai boschi assediato dalle creature innominabili è chiara metafora dello stato di terrore in cui vive l'America e l'Occidente intero, prostrato nell'immobilità da una paura indotta e menzognera, come quella degli anziani del Villaggio. Che vi sia buona fede nelle loro azioni non giustifica il mezzo usato, da Don Abbondio, da deboli e in un certo qual senso inutile perchè il dolore è ovunque e la natura umana maligna è ovunque. Non a caso il fautore di tale presa di coscienza è Noah (Adrien Brody), lo scemo del villaggio, che è una grottesca metafora del ridicolo proposito degli anziani. Con innumerevoli finezze registiche e prove di stile, Shyamalan racconta della cecità di chi ha perso le speranze verso il mondo contro la paradossale capacità di vedere e capire di Ivy ( Bryce Dallas Howard), cieca sul serio ma consapevole per amore di ciò che è giusto fare. Ancora l'incomunicabilità è uno dei temi amati dal regista. L'incapacità di esprimere il proprio sentimento, le proprie passioni sopite come il rosso che diventa il colore proibito che attira i mostri. E' l'amore che vince contro la rassegnazione, contro la perdita della speranza. Il Villaggio va verso la consapevolezza di aver sbagliato ,il mondo fuori è ancora immerso nel male.
di Gianluigi Perrone
Sunday, June 22, 2008
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