Il progetto di Signs sembra nascere subito come produttivamente ambizioso, con Shyamalan riportato nei territori della suspance tout court con il Sesto Senso ancora alle spalle. Shyamalan scrive la sceneggiatura pensando ai classici che amava sin da piccolo, ovvero Uccelli di Hitchcock, L'Invasione Degli Ultracorpi di Don Siegel e La Notte dei Morti Viventi di George Romero. Nonostante sia quest'ultimo il film esplicitamente citato in una scena in cantina, gli altri due film hanno uguale peso, visto che in Signs si ricrea una situazione di panico circoscritta ad una famiglia mentre il mondo è invaso dagli alieni. L'esperiente per catturare l'audience è quello dei cerchi nel grano ma in realtà è solo un elemento marginale visto che Shyamalan incentra la storia su un pastore che ricerca la fede e la comunicazione con la propria famiglia. Come spesso avviene nei film di Shyamalan, un fatto traumatico, un lutto, trasforma l'universo di un individuo come un evento sovrannaturale potrebbe fare con il mondo reale. Mel Gibson viene scelto come protagonista e non a caso visto che l'attore è notoriamente un uomo di fede ed ha la possibilità di immedesimarsi con il personaggio. In questo film più che mai Shyamalan si prodiga a mettere in scena immagini cristologiche, come la toccante scena dell'ultima cena o la Pietà rappresentata dal piccolo Kieran Kulkin nella parte finale del film. Come nei precedenti film ritorna la predestinazione dei personaggi, le cui caratteristiche,anche se insignificanti, sono il mezzo per accedere ad un disegno più ampio. Un messaggio che ancora una volta sottolinea l'aspetto spirituale del cinema del regista.
di Gianluigi Perrone
Sunday, June 22, 2008
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