Cominciamo subito con le cattive notizie, di quelle che sono ferro caldo sulla carne: “Day of the dead” di Steve Miner è un film bruttissimo, uno dei peggiori zombi movie girati. E aggiungiamo che un po’ ci dispiace. Si, perché sarebbe bastato davvero poco per fare un film non dico bello, ma almeno decente. Se c’è riuscito un novellino al suo primo lavoro serio come Zack Snyder (e “L’alba dei morti viventi” possiamo dirlo sempre paura è un capolavoro), perché non doveva riuscirci un veterano del cinema del terrore come Steve Miner? Cioè il regista di un cult come “Chi è sepolto in quella casa?”, di uno dei migliori Venerdì 13, “L’assassino ti siede accanto”, di un sottovalutato crocodille movie come “Lake placid” e del nuovo restyling di Michael Myers “Hallowen H20”… mica il primo scemo che passa per strada. Eppure “Day of the dead” è un pastrocchio incredibile che non si vergogna neppure di omaggiare il “Giorno degli zombi” di Romero. C’è aria davvero di film di scarto, di progetto lasciato a marcire come i suoi mostri al sole, una spaccatura netta tra una prima parte anche ottima e una seconda parte così disastrosa da non poterci credere. Colpa di Miner? Forse, ma lui ce la mette davvero tutta: la sua regia è veloce, virtuosistica a tratti, impeccabile sul piano tecnico. Quello che non va è il resto. Da lasciare sbigottiti la violenza nei confronti del prototipo romeriamo: non esiste più un gruppo di sopravvissuti nascosti in un bunker sotto terra, il mondo non è più dominio dei morti viventi, i militari non hanno più potere assoluto. La critica a certe forme di potere è stata spazzata da un’idea da teen movie dell’horror, un po’ alla Kevin Williamson, si è abbassata l’età dei protagonisti, il gore è ai limiti storici, la tensione latita, è il bigino dei bigini dove la cretineria è l’unica cosa ad essere abbondante. Di chi è la colpa quindi? Se scrutiamo tra i produttori si può capire come possa nascere già castrato questo progetto. Signori e signori ecco James Dudelson, il regista e autore di obbrobri come “Day of the dead 2: contagium” e “Crepshow 3”, l’unico stronzo che si è permesso di comprare fior fior di licenze romeriane per fare dei seguiti così imbecilli da non crederci. E ora artefice di questo nuovo “Day of the dead” e probabile colpevole del suo disastro assoluto. Il film sembra nella prima parte un prequel di “L’alba dei morti viventi”: l’epidemia (simile ad un raffreddore come “Contagium”) non è ancora sviluppata, ha zombi velocissimi come nel film di Snyder, persino uno stesso attore, Vhing Rames, in panni diversi però. Questo è comunque il segmento migliore del film, il più inventivo, quello che appassiona di più pur nella sua risaputezza. Poi il film va in tilt: qualcuno però si deve essere accorto che si chiama “Day of the dead”, non “Dawn of the dead 2” e allora, sicuro come l’oro, si sono creati ad hoc dei nuovi personaggi e nuove situazioni. Ecco allora spuntare come per magia un bunker sotterraneo, un dottore pazzo zombi, un morto vivente intelligente che sa pure sparare come nel film di Romero. Come dire ai fan: vedete che non vi abbiamo preso per il culo? In mezzo a questo delirio ci sono scene così sceme da far ridere fino alle lacrime: in una i militari aprono spaventati a calci delle porte dove dei grossissimi vetri facevano vedere comunque loro che non c’era pericolo, in un'altra i protagonisti sono in fila e, mentre parlano, un morto vivente attaccato al soffitto prende uno di loro senza che nessuno si accorga di niente. Roba da Scooby doo. Non parliamo poi di un finale davvero da deficenti con l’idea di un seguito che, Dio voglia, non deve essere fatto mai. Gli attori si adeguano: Vhing Rames è specchio per le allodole per i fan del film di Snyder, fa una micro parte per diventare uno zombi dinoccolato che si ingoia un occhio, Mena Suvari è fuori parte, fuori contesto, fuori tutto, il resto è roba da sagra oratoriale che sa solo agitarsi senza perché. Magari avessero poi spiegato se sono zombi o infetti alla “28 settimane dopo”. Non stupisce il film abbia avuto mille problemi distributivi, mille annunci rimandati di uscite imminenti fino all’idea di non distribuirlo mai. Dispiace dirlo, ma questa soluzione sarebbe la migliore. Peccato.
di Andrea Lanza
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