Wednesday, November 16, 2005

TOO COOL TO BE TRUE...ISN'T IT?

Venticinque anni fa se ne andava Steve McQueen. La sua esistenza fu attraversata da due grandi passioni/ossessioni : la fuga e la velocità. A scappare iniziò fin da adolescente ( provò ad evadere dal riformatorio per ben cinque volte ), la passione per l’alta velocità e per le auto da corsa venne subito dopo. Quando queste costanti si scontrarono frontalmente anche nell’ambito lavorativo, l’incontro/scontro che ne scaturì, diede vita ad alcune delle sue più grandi performance sul grande schermo, come : La grande fuga, La 24 ore di Le Mans e Getaway.
Vogliamo ricordarlo proprio attraverso le emozioni che il film di Peckinpah ci ha suscitato, sperando che lassù sia riuscito a trovare un altro scassatissimo furgoncino con cui allontanarsi verso il deserto messicano……
Prima che uno straordinario gangster movie, Getaway è la summa ideale ( magari non sempre volontaria ) del talento di tre grandi personaggi : Jim Thompson, Walter Hill e naturalmente Sam Peckinpah. Il primo è l’autore del romanzo dal quale è tratta la vicenda originale,che, come sostiene Rissent, narra le gesta di una sorta di Don Chisciotte moderno riletto da Karl Marx. Di fondamentale importanza però, fu il lavoro di smussatura effettuato dallo sceneggiatore Walter Hill. Quest’ultimo infatti, rovesciò l’attitudine di avido individualismo del personaggio originale, trasformando di fatto la vicenda in una favola surreale, quasi estranea al sottobosco criminale, più vicina ad un catartico viaggio di purificazione che ad un comune crime movie.
La discesa in apnea nella rapacità umana suggerita da Thompson, diviene, grazie ad Hill, una storia di redenzione al limite della follia, una romantica corsa ad ostacoli verso la riconquista della grazia, tematiche queste che, non a caso, il futuro regista renderà celebri in alcuni dei suoi lavori più celebri come I guerrieri della notte e Driver. Peckinpah naturalmente ci mise del suo, esasperando l’aura di follia che si impossessa della strana coppia formata da Al Lettieri e Sally Struthers, e sottolineando il senso di tragica rassegnazione che colpisce gli sconfitti dal fato, come nel caso del suicidio del mite veterinario. Il tutto è reso grandioso dal rincorrersi on the road degli avvenimenti e dagli abbaglianti colpi in arrivo, coreografati in una maniera che solo lo zio Sam e pochissimi altri sanno rendere così affascinante. Straordinario anche l’uso del tempo fatto in tutta la prima parte del film, così come rimane impressa nella memoria la sparatoria “hongkongese” che ravviva il sonnacchioso pomeriggio di siesta nel motel.
Assistere all’interpretazione di McQueen invece, è un vero e proprio piacere per gli occhi e per l’anima. Nell’interpretare il personaggio di Doc McCoy, il nostro, ripropone il solitario e asociale individuo che aveva conosciuto ne L’ultimo Buscadero, qui liberato dalla prigionia solo per essere usato come esca che però, per una volta, troverà un’inaspettata quanto sacrosanta salvezza. Tra le sequenze più belle, un posto d’onore lo merita sicuramente l’improvvisato nascondiglio nella spazzatura, quando cioè Doc e Carol, stipati e maleodoranti, si mischiano senza remore tra le frattaglie metaforiche della moderna società. In un gigantesco camion dei rifiuti ritroveranno la scintilla dell’amore e della speranza, risorgendo a nuova vita in una mefitica quanto suggestiva discarica a cielo aperto.
Ciao Doc, buon viaggio……

di Luca Lombardini

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